Portatori di luce essenziale, attirati dalla Magnesia nel corpo mortale

Nel linguaggio ermetico degli alchimisti, dediti all’Opera, la rugiada celeste, ros, è l’anima, la vita metallica che dà vita ai corpi; è quella “magnesia”, “calamita filosofica” che ha la virtù attrattiva e che oggi potremmo definire luce come campo elettromagnetico che attrae e forma la materia corporea.

La “magnesia” sorge dall’Occulta Fontana (Libethra) accanto alla quale c’è un’altra sorgente chiamata La Roccia.

“Ambedue – scrive Fulcanelli – scaturivano da una grossa roccia la cui forma assomigliava ad un seno di donna; di modo che l’acqua sembrava colare da due mammelle come se fosse latte. Ora, noi sappiamo che gli antichi autori chiamavano la materia dell’Opera la nostra Magnesia e che il liquore estratto da questa magnesia è chiamato Latte della Vergine”.[1]

Siamo grumi di informazione cosciente e terremoti di una realtà abissale (eventi), bagnati da una rugiada celeste: avatar di noi stessi nel mondo della materia; phosphoroi (Φωσφόροι), portatori di luce essenziale (informazione), attratti dalla magnesia nel crogiolo della vita, ossia nel crucibulum, il cui geroglifico alchemico è la croce[2].

San Cristoforo, che porta Cristo ‘Χριστός’, oppure che porta oro Χρυσός è simbolicamente il corpo che porta la luce.

Oro, infatti, dal latino aurum e dall’antico greco ayròs, deriva dalla radice sanscrita hari, dal significato di raggio di luce (hirana=oro).

Premessa metodologica

Procediamo per gradi, cercando di spiegare, per quanto è possibile, quanto affermato, utilizzando il metodo suggerito da Fulcanelli, ossia quello da cui origina l’argot, la lingua dei costruttori di cattedrali, non a caso dette gotiche.

Primo riferimento metodologico. “Per noi – spiega Fulcanelli – art gotique non è altro che una deformazione ortografica della parola argotique, la cui omofonia è perfetta, conformemente alla legge fonetica che regola la cabala fonetica in tutte le lingue e senza tener conto alcuno dell’ortografia. La cattedrale, quindi, è un capolavoro d’art goth o d’argot. Dunque i dizionari definiscono la parola argot come «il linguaggio particolare di tutti quegli individui che sono interessati a scambiarsi le proprie opinioni senza essere capiti dagli altri che stanno intorno». E’, quindi, una vera e propria cabala parlata.  […]. Tutti gl’Iniziati si esprimevano in argot, anche i vagabondi della Corte dei Miracoli, col poeta Villon alla loro testa, ed anche i Frimasons, o framassoni del medioevo, «che costruivano la casa di Dio», ed edificavano i capolavori argotiques ancora oggi ammirati”.[3]  L’arte gotica, aggiunge Fulcanelli, “è l’art got o cot (Χ°), l’arte della Luce e dello Spirito”. L’argot, aggiunge Fulcanelli “è una delle forme derivanti dalla Lingua degli Uccelli, madre e signora di tutte le altre, lingua dei filosofi e dei diplomatici”.[4]

Un secondo riferimento metodologico riguarda i miti, i quali sono tra di loro complementari e collegati (Lévi-Strauss).

Terzo riferimento metodologico è l’aspetto  paradossale e polisemico dei simboli e dei miti, con gli opposti che si scambiano e cospirano (cospiratio oppositorum.

Il latte della Vergine

Se poniamo attenzione al Latte della Vergine e alle due mammelle che rappresentano le due fontane, possiamo identificare un possibile messaggio scientifico sottostante, che oggi ci appare chiaro alla luce della teoria di Einstein E= mc2.

Se è stato sperimentalmente accertato che la massa si trasforma in energia, non così è stato per la reazione contraria, ossia m = E/c2.

Tuttavia, creare un elettrone e un positone (l’antiparticella dell’elettrone) dalla collisione di due fotoni è oggi l’intento di alcuni ricercatori dell’Imperial College di Londra e del Max-Planck Institut per la fisica nucleare a Heidelberg, che hanno ideato un esperimento in grado di verificare per la prima volta una previsione formulata nel 1934 da Gregory Breit e John A. Wheeler. L’esperimento potrebbe ricreare il processo che è stato determinante nei primi 100 secondi successivi al big bang permettendo all’universo di popolarsi di materia. La correttezza della previsione del processo di Breit-Wheeler è garantita dalla sua aderenza alle leggi dell’elettrodinamica quantistica, ma gli stessi Breit e Wheeler dissero all’epoca di non aspettarsi che qualcuno riuscisse a darne una conferma sperimentale. Di fatto, finora le osservazioni coerenti con l’esistenza del processo provengono dalle rilevazioni sui lampi di raggi gamma, uno dei fenomeni più energetici dell’universo. In laboratorio, invece, non è mai stato osservato, dato che anche i potenti acceleratori disponibili non erano in grado di fornire l’enorme energia necessaria a innescarlo richiesta dagli esperimenti finora ideati. L’assetto sperimentale proposto da O. J. Pike e colleghi – descritto in un articolo pubblicato su “Nature Photonics” – riuscirebbe ad aggirare questo ostacolo e permetterebbe la verifica sfruttando tecnologie già disponibili. La dimostrazione della teoria di Breit-Wheeler fornirebbe l’ultimo tassello della descrizione dei modi più semplici in cui possono interagire luce e materia.

La magnesia dei filosofi

Cosa significa magnesia? La Magnesia dei filosofi è definita calamita, dal greco airen, ciò che attira, dal verbo airo: prendere, cogliere, trascinare, attirare. Il ferro è aran o iran, termine assonante, secondo la cabala fonetica con airen. Inoltre il ferro o la calamita sono anche espressi dal vocabolo sideros, che esprime anche gli spazi siderali e le stelle.

Siamo figli delle stelle, come dicono le laminette orfiche e degli spazi siderali, attratti alla vita dalla magnesia, ossia da una calamita, da un metallo magnetico, che nel linguaggio argoatico ha il significato di campo elettromagnetico.

Il vocabolo metallo, infatti, deriva dal greco metallon, miniera, ma anche, secondo alcuni, da meta (infra, in mezzo) e allon dalla radice *al  (sanscrito *ar) dal significato di andare, muovere (verbo alomai = vado errando o elaô = metto in movimento).

Il metallo, adatto ad essere forgiato, è qualcosa che viene dal profondo, estratto dalle oscurità della miniera, che possiamo simbolicamente assimilare all’Arché o Inconscio profondo ed è un infra-movimento, un movimento intermedio: luce che condurrà alla materia.

Il vocabolo greco φῶς (phaos/phōs), la cui radice corrisponde a quella del verbo phainō, che significa “mostrare”, “rendere manifesto” (phainesthai), è anche in origine non solo la luce come mezzo per vedere, ma anche la luce che emana la verità raggiunta tramite la conoscenza.

Phōs, la luce della verità (aletheia), ossia l’informazione cosciente istantanea che si svela alla conoscenza, si volge verso i mondi, si mostra, si rende manifesta come luce fotonica, dove fotone deriva anch’esso da ϕῶς.

Ed ecco che calamita, metallo, stella, spazi siderali, ci portano ad un’unica conclusione: luce stellare, ossia campo elettromagnetico che agisce nel campo spazio-temporale o gravitazionale.

Magnesia, metallo, sideros, sono le parole con le quali si esprime il concetto di una luce fotonica che condurrà alla materia, secondo quella che ormai è la teorizzata trasformazione di energia in materia in base alla formula di Einstein M=E/c2.

L’anima tessuto o tela di luce

L’anima, si pone come un  “«tessuto di poteri» intermedi fra quelli del corpo e dello spirito” [5], un campo elettromagnetico che il mito di Arianna e del Minotauro ci consegna nella chiave criptata dell’argot.

Vedi in proposito anche:

Fulcanelli, a proposito del significato del mito di Arianna, utilizzando la Lingua degli Uccelli, sostiene che Arianna è una forma di araigne (ragno) per metatesi della i.

“In spagnolo – scrive Fulcanelli -, la ñ si pronuncia gn,  ἀράχνη  (araignée, araigne) si può dunque leggere arahné, arahni, arahgne). Ma questa parola richiede  altre derivazioni: il verbo αἴρω significa prendere, cogliere, trascinare, attirare; da esso deriva αἴρην, ciò che prende, attira, coglie. Quindi αἴρην è la calamita, la virtù rinchiusa in quel corpo chiamato dai saggi: nostra magnesia”. [6]

Nel complesso di quanto ci viene detto, il ragno, ossia Arianna, tesse la sua ragnatela labirintica, con il filo (del ragno) che è di metallo attirante, ossia in grado di trattenere e di formare,  fissando la luce (campo elettromagnetico) nel corpo (campo gravitazionale o spazio-tempo), ossia annodando la vibrazione. I testi egizi ci consegnano un rito della vestizione del Neter con un tessuto (tessitura, tessere).

I “Vigilanti”: esseri fisici di luce

La tradizione egizia, fissata nel linguaggio geroglifico, ci trasferisce l’esistenza di esseri fisici, non simbolici, di luce.

Massimo Barbetta, nel suo “La porta degli dei”, scrive di molti riferimenti , nei testi egizi, di un folto gruppo di “esseri” definiti Henmemet e riferisce che “secondo antiche leggende, proprio nella Heliopolis «terrestre», fosse stanziata un’assemblea di saggi, eredi umani di esseri o spiriti che si sostanziavano solo grazie alla luce. Ma di «luce» essi sembravano avere anche l’aspetto, vista la presenza del determinativo del «sole che manda raggi», frequente espressione di oggetti o di persone che emanano luce o brillantezza o radiosità, che era un permanente determinativo del loro nome”. [7]

Gli Henmemet, ci avverte Barbetta, sono convenzionalmente conosciuti dagli egittologi come “popolo del sole” e risultano abbinati nel lessico geroglifico, sia agli Aaku-u, “Spiriti divini”, sia agli AAkhu-t, “Spiriti umani”.

Gli Henmemet sono considerati dagli egittologi una classe di esseri celesti, intermediari tra gli dèi e gli uomini e che potrebbero aver dato origine agli Shemsu Hor, i seguaci di Horus.

“Per Vincent Bridges gli «Henmemet» – ci ricorda Barbetta, al cui testo: La porta degli Dèi, rimando per ogni approfondimento – erano esseri fisici, non spirituali, che si spostavano tra le stelle. Essi erano caratterizzati da una forte connotazione di «luce», che li «nutriva» e li «rivestiva»”. [8]

Gli Henmemet potrebbero essere gli “Splendenti” babilonesi o gli Elohim ebraici. Infatti a questo proposito Barbetta ricorda come Christian e Barbara O’Brien (The Shining Ones), ritengono che gli Splendenti sarebbero alla base della radice etimologica del termine ebraico per “Dei” Elhoim.

L’etimologia del termine Henmemet, secondo barbetta, sarebbe composto da due parole unite fra di loro: la H, dal senso di “stesso, autonomo” e dal fonema Hen, dal significato di “dirigere, comandare, governare” o dal fonema graficamente omologo, ma dal significato di “correggere, affrettarsi”.

La seconda parte sarebbe formata dalla radice Nem, che significa camminare, viaggiare, spostarsi.

Se si consultano i vocabolari egizi, si scopre che met significa vedere e spettatore (behold) e che anche m ha lo stesso significato. Il verbo hn ha il significato di formare, equipaggiare, comandare, controllare.

Nell’insieme Henmemet potrebbe significare coloro che vedono e controllano da spettatori, ossia i Vigilanti dei quali riferiscono molte tradizioni.

Interessante anche la traduzione di met come “nave del corpo”, ossia contenitore del corpo e di “in addressing female, che li indica come coloro che osservano e si rivolgono alle femmine. Un concetto che è perfettamente in linea con il Libro della Genesi.

Nella Genesi 6:1-8 si legge infatti: «Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro delle figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli a loro scelta. Allora il Signore disse: “Il mio spirito non resterà sempre nell’uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni”. C’erano sulla terra i giganti a quei tempi – e anche dopo -, quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi».

Massimo Barbetta, in un articolo pubblicato su Archeomisteri n° 11 del settembre/ottobre 2003, a proposito degli Ha(u)nebu, un popolo misterioso, associato agli Atlantidei, scrive che sono associati alle divinità e al cielo e considerando il nome egizio Nebu uguale a Signori, ritiene possa richiamare la radice ebraica Neph, relativa ai Nephilim, coloro che sono stati fatti scendere sulla Terra. Barbetta ricorda anche le possibili assonanze con le divinità creatrici dei Maya: Hunab ku, Hun Hunahpu, Vucub Hunahpu, Hunahpu.

Interessante anche il possibile accostamento con i me della mitologia sumera.

me, nella mitologia sumera, sono delle forze impersonali che concorrono, insieme con gli Dei, a garantire l’ordine dell’universo; definiscono energie, stati o azioni create da forze divine, capaci di mantenersi in esistenza ed in moto continuo grazie ad una forza propria, indipendente ed a sé stante. I me hanno origine divina e descrivono le regole e le leggi divine che stanno a fondamento dell’uomo, del suo divenire e della sua civiltà.
Nella mitologia, i me sono custoditi dal dio degli oceani Enki, il quale, in un momento di ebbrezza, li cede alla dea Inanna, nipote di Enlil, suo fratellastro e superiore a tutti gli dei sulla terra, la quale, dopo aver superato molti ostacoli, ne fa dono ai suoi protetti, gli abitanti della città di Uruk, grazie ai quali essi accrescono il benessere e la prosperità della città.

Esseri di luce

La tradizione ebraica ci consegna molti esempi di esseri di luce. Nella tradizione ebraica di origine cananea troviamo i Beney elohim. “Secondo i testi di ras Shamra – scrive André Caquot – il grande dio El è circondato da divinità differenziate, chiamate collettivamente ilm (dei) bn ilm (figli di Dio) o ben qdsh (santi)”. [9]

I Maleâk sono esseri inferiori a Dio e superiori all’uomo; sono i messaggeri di Dio e una guida inviata agli esseri umani. Maleâk è derivato nominale della radice l-e-k (latore), dalla quale ha avuto origine il verbo inviare in diverse lingue semitiche, tranne l’ebraico e l’aramaico. Lo si trova nella lingua Ras Shamra e Maleâk è un termine usuale nella lingua fenicia. L’origine cananea del nome ebraico dell’angelo è, pertanto, verosimile. [10]

“Essere celeste, in grado di scendere in ogni momento in un luogo qualsiasi della terra, l’angelo può passare per un modello di onniscienza”. [11]

L’angelo interprete rappresenta una personificazione dell’ispirazione divina e i nomi degli angeli comparvero dopo il rientro da Babilonia. Gabriele è “l’uomo di Dio”, Michele è “Chi è come Dio?”. Raffaele è il “guaritore”.

“Di norma – scrive André Caquot – gli angeli sono invisibili. Quando si lasciano vedere, per ordine del loro signore, hanno un aspetto umano, ma trasfigurato da una luce soprannaturale; sono gli «angeli della luce» (II Corinti, XI,14), «essi camminano su lingue di fuoco, sono vestiti di bianco e il loro volto brilla come il cristallo» (Henoc etiopico LXXI, 1). […]. Sono fatti di fuoco e di fiamme (Apocalisse siriaca di Baruc XXI,6). […]. Sono spiriti che sfuggono alla condizione corporea; non si nutrono (Talmud Yoma, 75b), non generano, salvo rare eccezioni, conoscono segreti inacessibili all’uomo […] sono immortali”. [12] L’angelo opera una metamorfosi salendo in cielo insieme alla fiamma con la quale la sua natura deve avere una qualche affinità.

In Egitto gli “Aku, o «spiriti» – scrive Dimitri Meeks – appartengono piuttosto al mondo dei morti, sia che un tempo siano stati vivi, sia che facciano parte della popolazione autoctona, e questo spiega le apparenti contraddizioni della loro natura. Tra loro si incontreranno, di volta in volta: defunti in pace, fantasmi, démoni malvagi, geni benevoli o esseri superiori senza alcun interesse per il mondo dei vivi”. [13]

Gli Akhou possono essere Neterou.

In Babilonia il genio intercessore Karibu si trova all’ingresso del santuario. Karibu significa l’orante (da Karâbu, pregare). I Karibu erano assimilati a divinità erano preceduti dall’ideogramma Dinger e possono essere assimilati all’ebraico Kerubin.

Nella mentalità altaica, come riferisce Jean Paul Roux, non si distingue il materiale dallo spirituale, l’animato dall’inanimato e in tutti gli esseri viventi vi sono una o più anime e “tutto ciò che nell’universo manifesta un potere superiore alle normali capacità umane e inferiore all’onnipotenza celeste, può essere considerato una potenza intermediaria”.[14] Questi esseri speciali sono “esseri eccezionali le cui caratteristiche sono prossime a quelle attribuite ai geni, agli angeli, ai démoni, agli dèi minori e ai santi. […]. Giungiamo così alla constatazione – sostiene Jean Paul Roux –  che le potenze intermediarie che, nella regione altaica, occupano approssimativamente il posto riservato, in altri sistemi religiosi, ai geni e ai démoni, non sono né esseri celesti, né esseri umani, né vegetali, né animali, ma possono essere stati o diventare esseri intermediari”.  [15]

“L’armonia cosmica – sostiene Jean Paul Roux –, il parallelismo tra Cielo e Terra, bastano a mantenere l’equilibrio dell’universo. Quando la volontà divina vuole manifestarsi agli uomini, lo fa attraverso una sollecitazione interiore: il cielo fece pressione, dicono i testi. Altre volte si serve, come intermediario, del principe che la rappresenta sulla terra. […]. Eppure, sappiamo di frequenti interventi di inviati di Dio. Come ho già detto – scrive  Jean Paul Roux – è difficile stabilire se si tratti di personaggi autonomi o di epifanie divine. Certo, l’inviato ha una forma speciale, è concepito come un essere particolare di cui si conserva il ricordo e che non si può mai identificare con il grande Dio”. [16]

Gli esseri intermediari si distinguono in tre gruppi: gli inviati di Dio o del Cielo o manifestazioni visibili alla potenza celeste; gli esseri intermediari invisibili, liberi da qualsiasi vincolo (ausiliari o avversari dello sciamano); gli esseri che sono insediati in un oggetto (idoli, penati, bandiere che animano un luogo).

Nella mentalità altaica tutto è anima, tutto è energia. “Là dove noi vediamo esserei ben delineati, sotto il profilo fisico e psicologico, l’Altaico, come molti «primitivi» (pur essendo ad uno stato superiore di civiltà), concepisce delle forze o un’energia cosmica dalle mutevoli e infinite manifestazioni”. [17]

In India l’universo è concepito come una gerarchia di ordini di esistenza. Si parla di mondi (loka) tra loro comunicanti.

“Di conseguenza – scrive in proposito Jean Varenne – il destino dell’individuo viene paragonato ad una sorta di cursus honorum di superamento progressivo di molti gradini della scala cosmica, beninteso con la possibilità di tornare o di saltare in avanti”. [18]

Nella concezione indiana un essere esistente in sé, il Brahaman (neutro) si manifesta nel principio cosmico di un ciclo sotto forma di demiurgo: Brahma (maschile), il quale chiama in vita Manu, il quale dà inizio alla creazione.

“Forme illusorie della maya divina o creature di parajapati, i geni e i demoni – scrive Jean Varenne – hanno pur sempre il loro posto nell’universo, con una funzione ben precisa da svolgere. Si tratta della funzione di ausiliari, ed è in questo senso che spesso vengono classificati come esseri «secondari».

Il Rig Veda canta i Marut, geni dei boschi, delle acque, dei fiumi e via discorrendo. I Gandharva sono musici celesti, le Aspara sono ninfe, gli Aksha sono alberi, i naga draghi o serpenti dal volto umano. Gli Asura sono forze vitali. “Nessun aspetto della natura – commenta Jean Varenne – è esente da influenze invisibili, misteriose, appartenenti all’altro mondo (o meglio, agli altri mondi)”. [19]

Di notevole interesse la cultura di Harran. “Gli Harraniani – scrive Gerard Russel – concordavano con quei filosofi greci che credevano nell’esistenza di un Dio supremo, il quale è la causa ultima della nascita dell’universo ma trascende ogni possibilità di comprensione da parte dell’intelletto umano. Poiché Dio era letteralmente indescrivibile, i comuni mortali potevano al massimo ambire a vedere e riverire le sue proiezioni nell’universo materiale” e poteva darsi “una discesa dell’essenza di Dio” in un essere umano, “ovvero la discesa di una porzione della sua essenza, che ha luogo conformemente al grado di preparazione della persona stessa, cosicché quando l’essenza discende nella sua forma più piena, può trasformare la persona in una sorta di proiezione di Dio sulla terra. [20]

“Gli Harraniani – afferma Rerard Russel – credevano nella reincarnazione, il ché implica che queste proiezioni divine potevano morire e rinascere, ritornando sulla terra in epoche successive”. [21]

Dopo questa rapida panoramica relativa agli esseri di luce in alcune culture, torniamo agli Henmemet.  

I Civilizzatori custodi delle piante

Come determinativo che li riguarda gli Henmemet hanno una pianta. Custodi di piante o di erbe, gli Henmemet potrebbero essere anche considerati civilizzatori che hanno insegnato la domesticazione dei vegetali agli esseri umani.

Va ricordato che il loto è seshen ed è il simbolo del rapporto tra la terra (le sue radici affondano nella terra intrisa d’acqua) e il cielo. Il loto blu è il fiore nel quale è nato Horus (simbolo del cielo nel quale nasce il sole). Il sacro loto è, inoltre, simbolo di vita eterna e di rinascita. Non a caso il geroglifico del loto indica, numericamente il numero mille, ossia le Migliaia che, potrebbe anche avere a che fare con la “Nascita delle Migliaia”, khau mes, associata alle Pleiadi.

Non entro nel merito degli aspetti astronomici e di viaggi stellari. Chi volesse approfondire legga il bel libro di Barbetta. Tuttavia, è necessaria un’ultima citazione.

“Gli «Henmemet» – scrive Barbetta – erano, inoltre, molto vicini agli dèi e, talora, venivano assimilati a «Dei che stanno in cielo», venendo accostati, in un contesto celeste, a Sirio, Orione e alle «Stelle che non tramontano»”. [22]

Sirio e Orione sono due costellazioni alle quali sono associati rispettivamente Iside e Osiride, i due Neter civilizzatori che hanno donato agli esseri umani i segreti della coltivazione. Iside e Osiride, nella declinazione greca sono Demetra e Dioniso.

Gli Henmemet possono pertanto essere una chiave interessante per capire i Riti Isiaci e Osiriaci e quelli Elesusini che, evidentemente, contenevano segreti scientifici che oggi la scienza potrebbe rendere comprensibili.

La tessitura veste l’invisibile

L’azione della tessitura (tayt), secondo il principio egizio che ci riporta all’analogia del verbo, del sostantivo e dell’aggettivo, è anche il tessuto.

Il Neter femminile Renenunet offre una bandella (striscia di tessuto), essendo essa stessa la bandella, al Neter Amon, Mn (nascosto) la cui parte femminile e manifestante è Amonet.

Renenunet rivolge ad Amon le seguenti parole: “Parole dette da (Ren n) unet, Signora di … Tu ricevi questa tua bella (bendella), tu, ricevi questo tuo tessuto mâr, tu ricevi questo tuo tessuto menkhebet. Tu appartieni a lei, tu sei perfetto in lei, in questo suo nome dei quattro tessuti-menkhebet. Essa si unisce a te in questo suo nome di stoffa-idmi”.

Amon appare ad Amonet, il suo aspetto femminile; è compiuto in lei ed è unito a lei.

La vestizione con una tessitura-tessuto è un rivestire l’invisibile (il nascosto) rendendolo visibile; è un legare l’imponderabile a una materia ponderabile: uno spirito ad un corpo.

In termini generali possiamo dire, usando una metafora, che l’incorporazione è un vestire lo spirito di pelle; è il tessere attorno allo spirito un corpo.

Nei Testi delle Piramidi è scritto:

“Ti ho vestito con l’occhio di Horo, questa Renenunet.

Ti ho portato l’occhio di Horo che è in Tayt, questa Renenunet”.

Nel testo si afferma che l’occhio di Horo è nella tessitura. Un’affermazione che ha un’implicazione sorprendente alla luce delle attuali scoperte scientifiche.

L’Occhio di Horo, vero scrigno scientifico, ha, tra i suoi molteplici significati, anche quello che ci riporta al Dna, in quanto lo schema dell’occhio è un insieme di frazioni che riguardano un intero, formato da 64/64.

L’anima tesse il corpo

Fulcanelli scrive: “La nostra anima non è forse il ragno che tesse il nostro corpo?”[23] L’essere umano non è, pertanto, concepibile come un reticolo di poteri dell’anima che si serve del corpo come sostegno?

Il concetto di tessitura lo ritroviamo rappresentato nel canestro egizio, che è il campo elettromagnetico (anima) del corpo umano.

Cesto, cesta in egizio antico è: mndjm e il geroglifico corrispondente è associato alle lettere K o X.

Nella cesta (vedi figura a lato) i simboli della vita corporale (a sinistra) e animica (a destra).

Nella cesta di destra non c’è il pilastro della stabilità, colonna vertebrale di Osiride, presente nella cesta di sinistra.

L’Ank, come nodo della vita, nella cesta di destra rappresenta l’anima come campo elettromagnetico non legato alla corporeità.

La stabilità rappresentata dalla colonna vertebrale di Osiride o pilastro jed, è quella permanenza dinamica della corporeità che oggi potremmo definire omeostasi, ossia neghentropia, capace di far permanere l’evento.

Nella cesta di sinistra il pilastro della stabilità è in mezzo all’anima (Ank) e al bastone Uas.

Il bastone Uas aveva un significato feticistico di origine sciamanica africana e serviva come connessione per veicolare alla madre terra le energie provenienti dal cielo ed in senso più generico apportava potenza e fortuna.

Questo scettro era usato dalle divinità maschili spesso unito all’ankh, simbolo di vita, e al pilastro djed indicante stabilità, come mostra sovente l’iconografia di Osiride e di Ptah.

Recenti studi hanno identificato nell’Uas il compasso del dio poiché risulta essere un dispositivo per poter tracciare lo shen, ossia due cerchi concentrici e se ne ipotizza il suo utilizzo nel campo delle costruzioni.

Lo shen (altresì conosciuto come šnw, sheneu o shenu) è uno dei simboli egizi più antichi. Gli Egizi vi identificarono il cerchio che circonda e definisce tutto ciò che esiste, ossia l’universo regolato da Maat.

Lo possiamo anche considerare come un nodo, un annodamento, così come un nodo può essere considerato anche l’Ank. Un altro nodo è il tjt, il nodo di Iside, punto di convergenza tra l’umano e il divino.

Nodi che annodano l’invisibile.

La luce agente principale del vivente

Nuovi orizzonti scientifici ci indicano che la luce, ossia quell’insieme di fotoni che soggiace alle leggi della meccanica quantistica, è l’agente principale del vivente. Non è una novità, ma oggi è detta in modo nuovo e sulla base di leggi scientifiche.

Gli enzimi, “sono responsabili della digestione, della respirazione, della fotosintesi e del metabolismo”; sono, in buona sostanza, “responsabili per la costruzione stessa del nostro corpo e ci mantengono vivi”.[24] Ebbene, gli enzimi, catalizzatori della vita, soggiacciono alle leggi della meccanica quantistica e all’effetto tunnel.

E la luce? Per fare un solo esempio, la luce favorisce il lavoro dell’enzima respiratorio: un lampo di luce molto breve, ma intenso, consente la respirazione cellulare. Luce protagonista della vita.

La dualità onda-particella “è coinvolta nella reazione biochimica più importante della biosfera: la conversione di aria, acqua e luce in piante, microbi e, indirettamente in tutti noi”. [25]

Senza la fotosintesi clorofilliana, che funziona grazie alla luce, non potremmo abitare questo pianeta. Le piante, infatti, producono costantemente l’ossigeno con il quale noi respiriamo.

Ebbene, la fotosintesi clorofilliana avviene seguendo regole della meccanica quantistica. Infatti, i tilacoidi, che sono le macchine della fotosintesi, quando sono alimentati dai fotoni riescono a legare tra loro gli atomi di carbonio (assorbiti dall’anidride carbonica dell’aria) per costruire le fibre delle piante e le polpe dei loro frutti. Ecco di nuovo la luce protagonista della vita.

Tuttavia, nessuno scienziato ha fino ad ora prodotto dall’inerte materia un enzima o un tilacoide.

Il mistero rimane, ma la meccanica quantistica ci fa fare passi in avanti nella comprensione, mettendo al proprio posto i meccanicisti, così come fecero i meccanicisti con i vitalisti.

“La vita – scrivono due scienziati come Jim Al-Khalili e Johnjoe McFadden – sembra avere un piede nel mondo classico degli oggetti quotidiani e l’altro piantato nel profondo del bizzarro mondo quantistico”.[26]

I sistemi viventi sono caldi, umidi e complessi e ogni processo complesso può sembrare strutturato e ordinato ma è di fatto guidato dal moto casuale delle molecole e gli ambienti a livello molecolare sono in gran parte turbolenti e, tuttavia, un sistema vivente ha bisogno di ordine che, a livello della fisica classica, è descritto come omeostasi; ma affinché questo ordine funzioni è necessario che intervenga la legge dei grandi numeri. Infatti, tutto ciò che deve il suo comportamento ordinato alle leggi classiche deve essere composto da moltissime particelle.

Non è così per il vivente a livelli minimali (enzimi, ad esempio) per il quale vige un ordine dato dal principio di coerenza quantistica.

L’ordine, dunque, deriva dall’ordine (Schrödinger) e quando il principio di coerenza viene meno si ricade nella fisica classica, ossia in un disordine termodinamico che deve continuamente essere ordinato da agenti di un ordine sottostante.

La meccanica quantistica, pertanto, ha chiuso la fase meccanicistica, consegnandoci nuovi orizzonti di conoscenza della vita.

Tutte le cellule viventi di piante, animali ed esseri umani emettono biofotoni.

Questa emissione spontanea di luce quantistica è essenzialmente causata dalla rottura e ricomposizione metabolica di legami molecolari e di conseguenza la emissione di biofotoni può essere considerata come espressione dello stato funzionale dell’organismo vivente.

Nel 1976 il biofisico Fritz-Albert Popp ha dimostrato che il DNA emette spontaneamente biofotoni durante le operazioni di apertura e chiusura delle sezioni del DNA, che ne permettono la espressione genetica. L’importanza della scoperta è stata confermata dagli scienziati eminenti come Herbert Froehlich e premio Nobel Ilya Prigogine, ma successivamente la accademia scientifica ha ostacolato il proseguimento degli studi di Popp, proprio in quanto il considerare il DNA come un’antenna di emissione e ricezione di biofotoni, avrebbe condotto verso un netto superamento delle concezioni meccaniche e quanto-meccaniche precedentemente acquisite.
Secondo la teoria biofotonica sviluppata da Popp si ritiene che sulla base della attività di informazione del DNA si auto-organizzi una rete biofotonica coerente ed interattiva, correlata in particolare agli organelli cellulari (mitocondri), capace nell’ insieme di regolazione a distanza delle principali attività di tutti i processi vitali di morfogenesi, crescita, differenziazione e rigenerazione cellulare.

Inoltre secondo il neurofisiologo Karl Pribram, il campo biofotonico del cervello e più in generale del sistema nervoso, potrebbe essere concepito come interfaccia transdisciplinare capace di integrare aree di conoscenza non fisiche relative alle attività della mente, quali il pensiero, la psiche e la evoluzione della coscienza.

L’esistenza del “biocampo quantistico” sfida ogni approccio riduttivo della scienza biologica per dare sviluppo ad una comprensione integrata dell’universo vivente. Il termine “Quantum biofield” descrive “un campo dinamico di “energia di informazione”, il quale regola la funzione di comunicazione biofotonica negli organismi viventi, svolgendo un ruolo sostanziale nella evoluzione dei percorsi metabolici e neurologici, propri della costruzione /distruzione continua della vita biologica di ciascuna specie.

E’ l’ultima spiaggia alla quale approdare? Sicuramente no.

In “Alice nel paese delle meraviglie” lo Stregatto dice. “Ho visto spesso un gatto senza sorriso, ma mai un sorriso senza gatto”.

Per ora, il mistero della vita rimane un sorriso senza gatto, ma se sappiamo navigare oltre ogni porto, oltre ogni provvisoria teoria, oltre ogni teologia, oltre ogni mistica illusione, forse, questo sorriso diverrà meno enigmatico.

La luce e la multidimensionalità

Charles Howard Hinton, matematico inglese ha ipotizzato che la luce possa essere spiegata come una vibrazione della quarta dimensione. “Basandosi sul lavoro di Riemann – ci ricorda Mikio Kaku -, Hinton si era infine convinto che la luce fosse la vibrazione della quarta dimensione, una dimensione invisibile. Fondamentalmente si tratta dello stesso punto di vista di molti fisici teorici della nostra epoca”. [27]

Teodor Kaluza Klein ipotizzava che la luce fosse una sorta di interferenza causata dalla spiegazzatura di una dimensione superiore. Luce come curvatura dello spazio (nella geometria dello spazio) delle dimensioni superiori.

Nella nostra dimensione la luce è la radiazione elettromagnetica visibile tra i 700 nm e i 400 nm

Onde radio, microonde, infrarosso = per noi oscurità.

Rosso, Arancio, Giallo, Verde, Blu e Viola = per noi il visibile

Ultravioletto RX e Raggi Gamma  = per noi è oscurità.

La luce colpisce la retina. Affinché ciò avvenga è necessario però che la lunghezza d’onda λ della radiazione  incidente sia apprezzabilmente più piccola dell’oggetto da vedere. Questo è il motivo per cui la luce visibile, per la quale  λ va da circa 0.4 a 0.7 micrometri, possiamo osservare batteri e un virus, ma non riusciamo a vedere una molecola o un atomo.

Si definisce pertanto il potere risolutivo di una data radiazione di lunghezza d’onda λ come la minima dimensione osservabile grazie ad essa. Tale lunghezza è proporzionale a λ, che è a sua volta inversamente proporzionale all’energia che la radiazione ondulatoria trasporta.

L’oscurità non è poi così oscura e la tenebra è piena di luce.

Concludendo

Se come sostengono alcuni scienziati, il Fondamento del Tutto è Informazione cosciente, la conoscenza è la modalità con la quale gli esseri umani, frattali del Tutto, apprendono dal Fondamento e interagiscono con il Fondamento.

Possiamo a questo punto pensare ad un Fondamento di Informazione Significante Cosciente  (FISC) che per sua Volontà si attiva come Informazione Significante Cosciente Energeticamente Morfogenetica (ISCEM), la quale dà vita alla morfogenesi di Eventi Energeticamente Informati e Coscienti (EEIC).

In questo possibile schema relativo al Fondamento del Tutto, il vero mistero è la Volontà. “Vuolsi così colà ove si puote ciò che si vuole e più non dimandare” (Dante, Divina Commedia, Inferno), afferma Virgilio riferendosi a Dio e alla sua volontà.

Per quale motivo il Fondamento di Informazione Significante Cosciente (FISC) si attivi in Informazione Significante Cosciente Energeticamente Morfogenetica (ISCEM), la quale dà vita per morfogenesi a Eventi Energeticamente Informati Coscienti (EEIC) è, e rimane, il vero mistero.

© Silvano Danesi


[1] Fulcanelli, Il mistero della cattedrali, Mediterranee

[2] Vedi Fulcanelli, Il mistero della cattedrali, Mediterranee.

[3] Fulcanelli, Il mistero delle cattedrali, Mediterranee

[4] Fulcanelli, Il mistero delle cattedrali, Mediterranee

[5] Patrik Conty, Labirinti, Piemme

[6] Fulcanelli, Il mistero delle cattedrali, Mediterranee

[7] Massimo Barbetta, La porta degli Dèi, Uno edizioni

[8] Massimo Barbetta, La porta degli Dèi, Uno edizioni

[9] Angeli e demoni in Israele di André Caquot, in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Mediterranee.

[10] Vedi Angeli e demoni in Israele di André Caquot, in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Mediterranee.

[11] Angeli e demoni in Israele di André Caquot, in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Mediterranee.

[12] Angeli e demoni in Israele di André Caquot, in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Mediterranee.

[13] Dimitri Meeks, in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Mediterranee.

[14] Jean Paul Roux, Gli esseri intermediari presso i popoli altaici, in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Mediterranee.

[15] Jean Paul Roux, Gli esseri intermediari presso i popoli altaici, in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Mediterranee.

[16] Jean Paul Roux, Gli esseri intermediari presso i popoli altaici, in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Mediterranee.

[17] Jean Paul Roux, Gli esseri intermediari presso i popoli altaici, in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Mediterranee.

[18] Jean Varenne, Angeli, Demoni e Geni in India in in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Mediterranee.

[19] Jean Varenne, Angeli, Demoni e Geni in India in in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Mediterranee.

[20] Vedi Gerard Russel, Regni dimenticati, Adelphi

[21] Vedi Gerard Russel, Regni dimenticati, Adelphi

[22] Massimo Barbetta, La porta degli Dèi, Uno edizioni

[23] Fulcanelli, Il mistero delle cattedrali, Mediterranee

[24] Jim Al-Khalili – Johnjoe McFadden, La fisica della vita – La nuova scienza della biologia quantistica, Bollati Boringhieri

[25] Jim Al-Khalili – Johnjoe McFadden, La fisica della vita – La nuova scienza della biologia quantistica, Bollati Boringhieri

[26] Jim Al-Khalili – Johnjoe McFadden, La fisica della vita – La nuova scienza della biologia quantistica, Bollati Boringhieri

[27] Mikio Kaku, Iperspazio, Macro Edizioni

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