Il Mercante di Venezia: Shakespeare nel solco dei Fedeli d’Amore e della tradizione celtica ed egizia.

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“Nel corso dei secoli – scrive Vergilius, alias Sebastiano Caracciolo – gli «Iniziati», nel proiettarsi nel piano profano, hanno sempre trasfuso, sotto forma di racconti o di rappresentazioni, in opere letterarie i loro insegnamenti tradizionali in modo più o meno velato”. [1]

Dopo questa introduzione esplicativa di un metodo, Vergilius trae dalle vicende di Bassanio, il protagonista principale de “Il Mercante di Venezia” di William Shakespeare, uno schema simbolico ove Belmonte, luogo di residenza di Porzia, della quale Bassanio è innamorato, è un «centro», un omphalos.

Porzia è la Donna, come quella dei Fedeli d’Amore, ossia la Santa Sapienza, Madonna Intelligenza e Bassanio, che la ama e la vuole sposare, è l’adepto che deve superare, dopo aver attraversato il mare, la prova degli «scrigni»: la sola che possa liberare la Donna dalla prigionia di un giuramento fatto al padre.

Bassanio, nello schema di Vergilius, è, come s’è detto, l’adepto, la cui controparte spirituale è Antonio, mentre Shyloch ne è la parte materiale.

Bassanio, al quale la sua parte spirituale, ossia Antonio, ha dato le risorse per assolvere un debito contratto con la parte materiale, ossia Shyloch, superato il mare (il passaggio delle acque), giunge al centro-omphalos, dove deve scegliere lo scrigno che contiene l’effige di Porzia, per poterla così liberare dal giuramento e sposarla.

Tre sono gli scrigni: d’oro, d’argento e di piombo.

A differenza di altri due pretendenti, che scelgono gli scrigni d’oro e d’argento, Bassanio, mosso da Amore, apre lo scrigno di piombo, ossia quello che rappresenta simbolicamente il rischio di perdere la propria vita (“Chi sceglie me deve dare e rischiare tutto quello che ha”). Nello scrigno trova l’immagine di Porzia.

Il passaggio delle acque, come ci ricorda Vergilius, è come quello del popolo ebraico verso la terra promessa o quello di Giasone, ma è anche quello dell’eroe del Graal, come Lancillotto, che le supera su un ponte che è come la lama di un rasoio, dopo che, abbattuto il guardiano del guado, al contatto con l’acqua si risveglia dal torpore che gli ha fatto perdere la memoria.

Porzia è prigioniera come lo è la regina nei racconti del Graal di Chrétien de Troyes e la Donna di Dante, di cavalcanti e dei Fedeli d’Amore.

Bassanio, come Dante, Boccaccio, Cavalcanti e gli eroi di Chrétien de Troyes, è mosso da Amore.

Gli scrigni rappresentano l’opera al nero, o piombo, l’opera al bianco, o argento e l’opera al rosso o oro, ossia le tre fasi che l’adepto deve attraversare, così come il Massone della ritualità strutturata da Ashmole: apprendista, pietra grezza, corpo; compagno, pietra cubica, anima; maestro, lapis exillis, spirito.

Una ritualità che richiama un’antica radice egizia, relativa ai riti osiriaci (dei quali ho scritto nel mio: “I Massoni nella Casa della Vita” – ilmiolibro), transitata (ecco la Tradizione, intesa come corretto traferimento) attraverso i riti eleusini e arrivata ai riti della celtica Ceridwen.

“I misteri di Ceridwen, segnalati da Artemidoro, (simili a quelli di Cerere) e trasformati dal bardismo «conservano ancora i loro fedeli» nel periodo di Taliesin (VI secolo)”[2] ed erano ancora vivi nel 1171.

Hersart de la Villemarqué afferma che i riti di Samotracia sono quelli che hanno un maggior rapporto con quelli bardici e con i misteri orfici e pitagorici.

“Il re stesso, come si vede dai canti di Hoël o Hywell, re del Galles, morto nel 1171, era onorato di esservi ammesso. Esiste una sua preghiera curiosa, nella quale, ammesso già ai gradi inferiori dell’iniziazione, sollecita al collegio di Ceridwen, con espressioni di fervente pietà, il favore dell’iniziazione superiore”. [3]

Come ho scritto nel mio: “Le radici scozzesi della Massoneria”(Ilmiolibro), la ritualità invocata dal re del Galles è connessa alla leggenda che narra il passaggio di stato di Gwyon Bach dall’essere il nano ad essere Taliesin, fronte d’argento, fronte luminosa (ossia illuminato) e testimonia di un percorso iniziatico legato alla ritualità della Dea Ceridwen, i cui riti erano, come s’è visto, ancora attivi nel 1171 d.C. ed erano assimilabili a quelli di Demetra e di Cerere.

Gwyon, ci ricorda Panchaud[4], significa “Padre degli uomini”. “ I simboli del suo culto lo rivelano – aggiunge Panchaud – sotto il carattere di Mercurio-Hermes, dio del commercio e di tutte le relazioni sociali e d’un Apollo, in quanto dio della poesia, del sapere e della luce intellettuale; laddove Bel-Heol o Hélian non è che il dio della luce e del calore fisici. E’ ancora a Gwyion…. che si attribuisce l’invenzione della scrittura. E’ anche un Prometeo rivelatore e un mediatore tra Dio e l’uomo”. [5] Il determinativo Bach, dal significato di piccolo, secondo Mac Bain (dizionario) potrebbe anche ricondurre, con il significato di ubriaco, a Bacco (in assonanza con i riti eleusini).  Il piccolo Gwyon, appartenente alla stirpe degli dèi, viene sottoposto ad una serie di prove dalla Dea Ceridwen, alla fine delle quali si incarna in un uomo-dio. Un uomo-dio che è Verbo.

Taliesin, nel venire al mondo come bambino, dopo essere stato partorito da Ceridwen, intona un gwuawd, un canto di lode. Di fronte a lui i bardi rimangono senza voce. Il suo equivalente irlandese è Fintan Bóchra, il fuoco brillante della parola.

L’interpretazione di Vergilius colloca Shakespeare, in buona compagnia con gli Umanisti italiani, con Chrètien de Troyes e con i Mabinogion e con i Fedeli d’Amore, le cui origini risalgono al normanno Federico II e ai poeti in lingua d’Oc e d’Oil, eredi dei bardi (vedi in proposito il mio: “I Fedeli d’Amore alla corte di Artù”).

Il sostrato celtico, amalgamatosi con la mistica della luce giovannita, riemerge con forza nelle opere shakespeariane, avvalorando l’opera di Ashmole che, con l’aggiunta della ritualità hiramitica, ha completato e restaurato, sotto vesti ebraiche, la trinitaria scansione iniziatica tradizionale: corpo, anima, spirito.

Infine, una nota personale.

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Ho ricevuto l’opera di Vergilius da Sebastiano Caracciolo molti anni or sono, nel 1994, quando ero impegnato a raccogliere documentazione per il mio libro: “Liberi muratori in Lombardia” (edizioni Edimai).

Ospite di Caracciolo a pranzo, nella sua casa di Bologna, ho avuto da Vergilius in dono due libri: “L’esoterismo ne «Il Mercante di Venezia»” e “La Scienza ermetica”, sulle pagine del quale ha vergato una dedica che ricordo con grande piacere come segno di amicizia di un uomo di cultura e di un iniziato.

Silvano Danesi

[1] Vergilius, L’esoterismo ne “Il Mercante di Venezia” di William Shakespeare, edizioni Lo Scarabeo

[2] Jean Reynaud, L’ésprite de la Gaule, Firne ed. Paris, 1864

[3]  Jean Reynaud, L’ésprite de la Gaule, Firne ed. Paris, 1864

[4] Edward Panchaud, Le druidisme; ou, Religion des anciens Gaulois, Losanna 1865

[5] Edward Panchaud, Le druidisme; ou, Religion des anciens Gaulois, Losanna 1865

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