Due papi, due chiese, due religioni: quella di papa Benedetto XVI che guarda alla crisi dell’uomo e al Regno di Dio; l’altra, quella di Jorge Mario Bergoglio, avviata verso un cristianesimo come religione civile.
Sia chiaro, a scanso di equivoci, che ritengo giusta la battaglia da condurre per la salvaguardia della Terra e per l’ecologia (termine formato da eco, dal greco oikos cioè “dimora e da logia, dal greco loghia), la quale dovrebbe essere la scienza che studia la nostra dimora terrestre. Porsi il problema dell’ecologia è importante, purché non se ne faccia un’ideologia al servizio della finanza e delle multinazionali e non la si affidi ai movimenti “gretini”.
Il Sinodo sull’Amazzonia voluto da Jorge Mario Bergoglio ha condotto la Chiesa di Roma sulla deriva, ormai inarrestabile, della religione civile, che inevitabilmente si intreccia con la politica. Non è, del resto, una novità, per un gesuita, visto che i gesuiti, nei secoli, hanno sempre seguito questa idea della religione civile.
La Compagnia di Gesù è infatti nata con il mondo moderno, quando il pensiero filosofico e scientifico ha fondato la sua autonomia. In questo si è subito differenziata dai grandi ordini medievali: francescani, carmelitani, domenicani.
La Compagnia di Gesù è intervenuta sin dai suoi primi passi nella politica e nella realtà sociale, con alterne vicende, e alterne alleanze: dall’assolutismo monarchico e reazionario austriaco, all’assolutismo dispotico dei monarchi illuministi. Nel 1605 organizzarono contro Giacomo I la Congiura delle polveri o Congiura dei Gesuiti.
Non è un caso che i Gesuiti siano stati cacciati da Venezia nel 1606, dalla Boemia nel 1618, da Napoli e dai Paesi Bassi nel 1676, dalla Francia nel 1764, dalla Spagna nel 1767, dal Portogallo nel 1769, da Roma e da tutta la cristianità nel 1773 (lo scioglimento dell’ordine è dovuto alla Lettera apostolica Dominus ac Redemptor del 21 luglio 1773 di Clemente XIV).
I Gesuiti, cacciati da Francia, Spagna, Portogallo, Regno di Napoli, sopravvissero protetti da re illuministi come Federico II di Prussia, che si giovò della loro collaborazione nelle regioni da lui dipendenti e abitate da popolazioni cattoliche e Caterina II di Russia, ossia da un re protestante e da una regina ortodossa: due despoti.
Autori di esperimenti di comunismo paternalistico, attuati con le Riduzioni in Paraguay, Argentina, Brasile e Bolivia, i Gesuiti ebbero il plauso degli illuministi.
Dei Gesuiti è proverbiale la sibillinità, che sfocia nella più esecrabile doppiezza. Nel Compendium, ad esempio, alla domanda: “Si domanda a che cosa è obbligato un uomo che ha giurato in modo fittizio e per ingannare?”. La risposta è quantomeno inquietante: “Egli non è obbligato a nulla in virtù di religione, poiché egli non ha prestato un vero giuramento. Nullameno è obbligato dalla giustizia a mantenere ciò che ha giurato in un modo fittizio e per ingannare”. In aggiunta potremmo citare la seguente affermazione: “In ogni promessa fatta con giuramento, anche in via assoluta, vi sono certe condizioni tacite, come per esempio: se lo potrò; salvo il diritto e l’autorità superiore; purché le cose restino moralmente nel medesimo stato”.
Insomma, fidarsi di un giuramento, stando alla logica gesuitica, è perfettamente inutile.
Federico II, protettore dei Gesuiti, fu un despota illuminato.
Despota, dispotico e dispotismo fanno, non a caso, la loro prima apparizione nel dizionario francese nel 1720. Formatosi, a quanto pare, alla fine del XVII secolo, il concetto di dispotismo finisce ben presto per indicare un regime politico in cui l’oppressione sociale va di pari passo con l’autorità assoluta del sovrano. Federico II di Prussia, despota illuminato, che si avvale dei Gesuiti, è l’evidente attestazione della capacità della Compagnia di Gesù di intessere rapporti con gli ambienti più vari e di essere instrumentim regni.
Con i resti sparsi della diaspora post Dominus ac Redemptor, padre Pigantelli ricostruì la Compagnia dopo le guerre napoleoniche.
Il confronto tra la Chiesa riformata e quella della Controriforma ebbe nella Compagnia di Gesù, fondata nel 1540 da Ignazio di Loyola, la sua milizia scelta, capace di una vasta controffensiva grazie alla sua organizzazione rigidamente disciplinata, ma anche alla sua duttilità, alla sua cultura e alla sua conoscenza del mondo.
Un tipico esperimento politico gesuita è quello delle Riduzioni, piccoli nuclei cittadini secondo i quali erano strutturate le missioni della Compagnia di Gesù, soprattutto in Paraguay, ma anche in Cile, Nuova Granada, Brasile, Argentina, Bolivia e Uruguay.
Il Sinodo dell’Amazonia recupera quelle esperienze.
Alla Chiesa bergogliana della religione civile, fa da contraltare quella di Benedetto XVI, il quale ha recentemente esplicitato ancora una volta la sua linea in una conversazione con il Foglio (27 ottobre 2019), affermando che “la crisi dell’Europa, prima ancora che essere politica, degli stati e delle sue istituzioni, è una crisi dell’uomo. La crisi è innanzitutto antropologica. Un uomo che ha perso ogni riferimento di fondo, che sa più chi è”.
L’affermazione di Benedetto XVI ci porta al nodo fondamentale del problema, che è della crisi dell’uomo e che è anche la crisi, che rischia di essere esiziale, della Chiesa cattolica: la ricerca della verità non è doxa, ma appartiene alla conoscenza intesa come theoría (contemplazione) e come epistéme e come progressivo avvicinamento alla verità del Fondamento.
Nel Vangelo gnostico di Filippo è scritto: “La verità non è venuta nel mondo nuda, ma è venuta in simboli ed immagini”.
“Noi – scrive Jean Borella – non diciamo che il simbolo testimonia di questo o quell’«altromondo», noi diciamo, più radicalmente, che ci sveglia alla coscienza di tutti gli «altrimondi» possibili”. […] Il simbolo ci eleva immediatamente alla coscienza che questa totalità [la totalità obbiettiva del mondo] è una totalità finita, altrimenti non sarebbe totalità. Ci insegna che pensare e porre (enunciare) il mondo è pensare a porre (enunciare) un mondo, e dunque aprire nello stesso tempo al suo al di là. Ed è perché il simbolo è fondamentalmente salvatore”. [i] “La naturalità del simbolo – aggiunge Borella – non è solamente fondata sull’ordine naturale della causalità: la natura, qui, è la natura delle cose o essenza. Senza dubbio la causalità efficiente non è perduta di vista, ma è assorbita da una relazione più profonda, che è quella della partecipazione ontologica del visibile all’essenza dell’invisibile, grazie alla quale e nella quale ne diviene la manifestazione e l’epifania”. [ii]
La struttura simbolica del reale apre la libertà alla domanda sulla verità assoluta ed è partecipazione.
La crisi dell’uomo oggi è la perdita di senso, dell’orientamento, perché l’uomo è ammalato di oicofobia e scambia l’ecologia per l’oicofilia. Scambia, per dire il concetto in termini cristiani, il Regno di Dio con il Regno del Mondo. L’oicofilia è l’amore per la “casa”, che è sì casa terrena, ma anche casa animica, spirituale. Ed è questa la domanda di fondo (ossia relativa al Fondamento) che l’essere umano da sempre rivolge e si rivolge, ricercando una risposta che guarda alla verità assoluta. Questo guardare è theoria, che è un guardare, un contemplare, un vedere che è un conoscere e un sapere e un sapere partecipante.
In greco, ci dicono i grecisti, per dire “io so” si usa lo stesso verbo (οἶδα) che si usa per dire “io ho visto”. Οἶδα (pron. oida=io so) è infatti l’aoristo (tempo equivalente al perfetto latino) di ὁράω (pron. orào=io vedo). Nella lingua greca “sapere” equivale quindi ad “aver visto” (“so” in conseguenza del fatto che “ho visto”).
Questo sapere è sapere epistemico, che si sostiene da solo e, in quanto è un orao, è un vedere.
Le domande esistenziali dell’essere umano sono sì relative alla vita terrena, al fine di renderla il più armoniosa e felice possibile, ma sono anche e, soprattutto, quelle relative alla vita ultraterrena.
Compito della politica è dare risposte alla domande relative alla vita terrena, compito della spiritualità è tentare di dare risposte teoriche ed epistemiche, ossia di rintracciare nella natura le tracce del Fondamento e di insegnare a guardare per sapere e partecipare.
“Il senso di un simbolo – scrive Borella – è in qualche modo «capace» di una pluralità di referenti che indica in maniera sintetica e potenziale e che l’ermeneutica si incaricherà di dispiegare”. [iii] Tali referenti “intellegibili e significanti simbolicamente, non sono essenzialmente che uno, ma sono essenzialmente distinti secondo il grado d’essere al quale essi appartengono; in conseguenza il senso del simbolo non è altro che la traccia della loro unità essenziale attraverso la loro differenza esistenziale”. [iv]
La Chiesa di Benedetto XVI, ovviamente secondo i criteri della teologia cristiana, volge il suo insegnamento e la sua riflessione alla theoria e all’episteme, induce a guardare per sapere e partecipare.
La Chiesa di Bergoglio è sulla deriva gesuitica della religione civile, che invade il campo della politica e diventa politica e così diventa doxa, opinione e abbandona l’episteme e la theoria.
© Silvano Danesi
[i] Jean Borella, Le Mystere du signe, Maison Neuve Larose
[ii] Jean Borella, Le Mystere du signe, Maison Neuve Larose
[iii] Jean Borella, Le Mystere du signe, Maison Neuve Larose
[iv] Jean Borella, Le Mystere du signe, Maison Neuve Larose