I Massoni per un’Europa che sia Patria

Nell’articolo “I Massoni e la Patria” ( https://laboratoriocasadellavita.it/2019/12/21/i-massoni-e-la-patria/ ) ho affermato che la Massoneria, come l’Umanità, si nutre di archetipi e di simboli e che la Patria è un archetipo potente. Gli archetipi, anche se nati in uno specifico tempo e in uno specifico luogo, trascendono le loro specifiche origini e si riferiscono a idee condivise dall’intera specie umana. Le qualità e le virtù proprie dell’archetipo consistono nel fatto che lo si può usare per avvicinare persone diverse, mettendo in risalto ciò che hanno in comune. In questo caso l’archetipo assume un valore universale. Al contrario, quando un archetipo assume una caratterizzazione tribale, divide. Il fondamentalismo è un esempio di uso dell’archetipo in chiave tribale, in quanto non solo divide, ma porta a rendere moralmente e teologicamente accettabile o addirittura desiderabile l’immolazione di massa e l’immolazione degli individui.

Gli archetipi vanno oltre la razionalità e trovano la loro forma espressiva nei simboli, i quali trovano risonanza nell’inconscio.

L’attivazione e la manipolazione degli archetipi e dei simboli ha, pertanto, un valore fondamentale nella determinazione di percorsi costruttivi o distruttivi, unificanti o divisivi.

La corretta attivazione del mito archetipico della Patria è, dunque, di fondamentale importanza al fine di costruire, armonizzare, amalgamare, ma proprio perché è un mito archetipico non può essere progettato e realizzato artificialmente.

Ne consegue, scrivo nellarticolo citato,  che, se si vuole che l’Europa sia una Patria, e non un leviatano buro-finanziario, è necessario identificare e rivitalizzare gli archetipi comuni alle popolazioni del continente europeo, ossia gli archetipi in grado di attivare il riconoscimento di radici comuni, atteso che l’apparato archetipico sincretico del cristianesimo, che è servito da collante ideologico per secoli, si sta affievolendo, se non esaurendo e che la sua indubbia debolezza lascia un vuoto che potrebbe essere riempito da valori alieni che sono all’opposto da quelli conquistati con immani e secolari fatiche, lacrime e sangue, dai nostri Antenati.

Il passaggio fondamentale per costruire una narrazione comune del “popolo europeo” è trovare una radice comune e unificante.

La Massoneria, che si nutre di archetipi, di simboli e di miti, può dare un grande contributo alla narrazione comune del “popolo europeo”.  

Non è nell’economia di un articolo una trattazione degli archetipi che possono rappresentare la narrazione comune del “popolo europeo”, ma ritengo opportuno, come traccia di lavoro, ricordarne due che sono attivi da millenni e che hanno segnato di sé la cultura europea.

L’Europa del lógos

I Greci, i Celti, i popoli norreni hanno attinto alla comune radice indo-europea, che ci ha consegnato il concetto fondamentale del  lógos.

Ritroviamo il lógos nel vedico Visvakarman, il fattore di ogni cosa, il creatore universale.

Dall’incontro tra la cultura giudaica e il pensiero greco si è strutturata la concezione cristiana dell’uomo, del mondo e del divino. Dall’incontro tra la cultura egizia e quella greca è sorto l’ellenismo, che ha fortemente influito sulla cultura europea e, conseguentemente, occidentale.

Il lógos è stato declinato nel druidismo con il vocabolo Duw, nel cristianesimo è stato incarnato in un uomo dio e in Egitto lo ritroviamo in un’azione manifestativa e creatrice che assume nomi diversi secondo le varie teologie succedutesi nei secoli.

La radice concettuale del lógos la troviamo nell’indoeuropeo. Il fonema Na è il simbolo delle Acque indifferenziate. “Da esso – scrive Franco Rendich – nacque il concetto di negazione, Na, e di conseguenza quello di Nulla (…) a causa dell’impossibilità di riconoscere al loro interno alcun ente (non ente, niente) o alcun uno (non-uno, nessuno). [1] […]. “Soltanto con un secondo tempo, con l’apparizione della luce nelle acque [ka] , il pensiero indoeuropeo avrebbe riconosciuto al loro interno il primo Essere, Eka, l’Uno: «luce [Ka] che sorge [e] dalle Acque»”.[2]

Il Nulla, Na…, rappresenta le Acque viste nel loro aspetto imperscrutabile, mentre l’Uno, Eka, rappresenta le stesse Acque viste nel momento del sorgere della Luce al loro interno. Luce «creatrice», in quanto rende visibile e riconoscibile l’intero universo. Da Ka deriva Eka (e+ka è il sorgere della luce), che dà origine a Da, luce creata. Abbiamo, pertanto, una luce creatrice Ka, che sorge dalle Acque cosmiche Na, il Nulla, come Eka, moto di Ka e origina Da, luce creata. Kam, derivante da Ka, infinito, e da M, limite, simbolo della realtà relativa e finita, è amore. “La consonante M – spiega Franco Rendich – è all’origine di mātŗ «madre», il fattore femminile della creazione che conduce la divina immobilità di Eka ad incarnarsi nella terrena transitorietà di dvi, il «due». In altre parole Kāma, «amore», rivela l’unione tra l’Infinito [Ka] e il Finito [M], nell’attimo in cui nasce il loro comune desiderio di creare la vita nell’Universo”.[3]

Il processo, in sintesi, è: il Nulla [Na – Tenebra – zero], contiene l’altra parte di sé, l’Uno [Ka, luce creatrice], il quale dinamizzato nella luce creata [Da] si realizza, per impulso d’amore [Kāma], nel molteplice materiale, caratterizzato dal limite [M].

Il lógos, come Duw (Demiurgo) è presente nelle Triadi bardiche sin dalla prima triade: Tri un cyntefig y sydd, ag nis gellir amgen nag un o honynt, un Duw, un gwirionedd, ag un pwngc rhyddyd, sef y bydd Ile bo cydbwys pob gwrth.

(Tre unità originarie e essenti e nessuna di loro può essere cambiata: un Demiurgo, una verità, e un punto di libertà, ossia un punto di equilibrio di tutti gli opposti).

E’ interessante notare la relazione della libertà, intesa come punto di equilibrio tra tutti gli opposti, con l’eraclitea syllapsis.

La quarantaseiesima Triade ci dà l’esatta polivalenza del Demiurgo: “Tre necessità del Demiurgo: essere se stesso infinito; mortale (finito) vicino al mortale (finito) e in accordo con tutte le condizioni esistenziali nel ciclo di Gwynfyd” [l’Altromondo]. Una polivalenza che accosta il Demiurgo druidico al lógos eracliteo.

Il Demiurgo, in quanto essenza, in quanto se stesso, è infinito, ma è anche finito vicino al finito, ossia quando è nella determinazione del molteplice. In questa accezione il Demiurgo è ex-sistente.

Siamo in presenza dell’archetipo del dio sacrificato, lacerato, smembrato: Dioniso, Osiride, Cristo.

Il Duw, essendo nel molteplice ex-sistente, è una manifestazione dell’origine sconosciuta e senza nome, ossia del principio principiante, l’Oiw, che “risiede” nel Cerchio vuoto, Ceugant.

Ex-sistere deriva da ex-, “fuori” e sistere, stare, essere stabile, essere in atto, riferito ad ogni realtà in quanto tale. Il Duw, pertanto, quando è vicino al finito, al mortale “sta fuori”. Lo stare fuori non è attribuibile al Fondamento, ma a qualcosa che dal Fondamento sta fuori: in questo caso la sua azione, il Demiurgo, il lógos.    

Il Duw è originato ed è una manifestazione dell’origine sconosciuta e senza nome, l’Oiw, che è un’invocazione, più che un nome e che risiede nella vacuità e il concetto di vacuità lo troviamo perfettamente espresso nel vocabolo Ceugant, il cerchio vuoto. 

Ritroviamo il lógos, sotto la denominazione di Jaun Goinkoa nella cultura basca, altra importante radice d’Europa, dai più misconosciuta. Jaun Goinkoa è dio universale e Signore della Luna, il quale ha creato Begia, la luce del corpo, Egia, la luce dello spirito ed Ekia, la luce del mondo.

In Egitto il ruolo demiurgico è assegnato a vari Neter, secondo le varie teologie: Tum Atum, che crea il cielo e la terra o Knum, il dio vasaio, che plasma gli esseri umani.

E’ evidente che siamo in presenza di un archetipo che non è solo ascrivibile all’orizzonte giudaico cristiano. Un archetipo che è in altro modo presente come “figlio della Vergine”, essendo la Virgo il racchiuso infinito Fondamento delle infinite potenzialità e possibilità: la Dèa Madre origine di ogni modalità esistenziale, la matrix o utero primigenio.

Il lógos, pertanto, è il “fuoco” centrale della cultura occidentale; è il punto di incontro di tradizioni e culture che costituiscono le profonde radici dell’Occidente ed è il grande e unico non svelabile “segreto” della Massoneria, perché, come sostiene Eraclito: “La reale costituzione di ciascuna cosa ha l’abitudine di nascondersi” (Fr 123 DK)[4] e: “Il rapporto invisibile è più forte di quello visibile” (Fr. 54 DK)[5].

Anche Apollo, sul cui tempio a Delfi è scritto il famoso invito all’essere umano: “Conosci te stesso”, non svela e non nasconde, ma dà segno, come scrive Eraclito: “Il Signore di cui è l’oracolo in Delfi non svela e non nasconde, ma dà segno” (Fr. 93 DK)[6].

Ed Eraclito, per interpretare i segni, indica i molti approcci necessari, ma soprattutto, con quel suo: “Interrogai me stesso” (Fr. 101 DK)[7], ci dice di usare l’insieme delle nostre facoltà conoscitive.

Eraclito scrive: “Quelli che rimangono incomprensivi (anche) dopo aver udito [insegnare il lógos] sono come sordi; ad essi si applica la testimonianza del detto: presenti sono assenti” (Fr. 34 DK)[8], perché, ci avverte ancora Eraclito: “Se hai udito [e compreso] non me ma il Lógos è saggio concordare che tutte le cose sono uno”. Eraclito Fr.50 DK. [9]

L’antica Europa della Dèa Madre

La Virgo, ossia l’Archè, il Fondamento, è presente nell’archetipo della Grande Dèa Madre.

“La religione incentrata sulla Dèa – scrive in proposito Marija Gimbutas – esisteva molto prima di quella indoeuropea e cristiana (che rappresentano un periodo relativamente breve della storia dell’umanità) e ha lasciato un’impronta indelebile nella psiche occidentale”. [10]

Le dee ereditate dall’Europa antica sono “regine” e “signore”, non solamente dispensatrici di vita, di fertilità e reggitrici di morte. L’antica Europa, per usare un’espressione di Marija Gimbutas, era una gilania, caratterizzata dalla parità tra i sessi, che aveva come riferimento una divinità femminile partenogenetica (autogenerantesi), rappresentata il più delle volte sotto forma di dèa uccello o di dèa serpente, ma rivestente, per sua natura, una molteplicità di forme e di simboli.

La trasformazione dell’Europa gilanica, equisessuale, in Europa androcratica è avvenuta nel periodo che intercorre tra il 4.300 e il 2.800 a.C., periodo nel quale “i ripetuti tumulti e le incursioni dei Kurgan (che considero proto-indoeuropei) – scrive Marija Gimbutas – misero fine all’antica cultura europea ….. trasformandola da gilanica in androcratica e da matrilineare in patrilineare”. [11]

Con l’avvento di una cultura androcratica si assiste al rovesciamento, all’inversione della divinità in termini di ruoli e funzioni, di status e di mitologie connesse. La Dèa Madre, che aveva regnato per millenni, con accanto un figlio-paredro-amante viene sottoposta alla tutela di un dio padre del quale diviene figlia, sposa, amante. Con il prevalere di Helios anche Selene si stacca dal rapporto con Gaia. L’unità armonica si rompe. A volte l’inversione trasformò varie manifestazioni della Dèa in espressioni diaboliche, negative, frenanti e distorcenti l’evoluzione spirituale dell’uomo.

Non possiamo qui diffonderci nell’analisi delle molteplici forme assunte dalla Dèa, ma quella di una donna-uccello (che ritroveremo relegata nel ruolo di strega, da strix) risale al Paleolitico superiore. Nel Paleolitico non v’è traccia di figura paterna. Altrettanto antica è la forma donna-serpente. “Il serpente è forza vitale, simbolo seminale, epitome del culto della vita su questa terra” [12]e energia. “I simboli che circondano il serpente e la Dèa Serpente antropomorfa sono gli stessi associati con l’uccello acquatico e la Dèa uccello”. [13]

La Dèa è triplice: tre sono le Moire, tre le Norne, tre le forme delle dee celtiche; è triplice come la luna, che ha tre fasi e come la natura, che in primavera vive la nascita e la crescita, in estate la maturità e in inverno la vecchiaia e la morte. E’ il motivo per il quale il 3 e il 9 erano numeri magici per invocare la crescita e la moltiplicazione. “Concili di nove donne sono menzionati nei documenti proto-storici e se ne fa menzione nelle mitologie europee”.[14] “Le figure maschili, effimere e mortali, sono metafore della vegetazione che nasce e muore oppure sono giovani consorti della Dea”. [15]

Le statuette maschili, secondo una stima di Marija Gimbutas, costituiscono soltanto il 2-3 per cento di tutte le statuette dell’Europa antica e tra queste possiamo identificare alcune categorie più diffuse e persistenti:

  • uomini con corna di animali (vedremo in questo caso Pasupati e Lug) o con maschere di uccelli e itifallici;
  • esseri metà animali e metà uomini (centauri);
  • uomini robusti in trono e uomini pensosi e afflitti seduti su uno scranno o un trono con le mani sulle ginocchia o a sostenere la testa.

Nell’antichità paleolitica e neolitica, dunque, prevale la figura della Dèa, quella che lo psicologo junghiano chiama la Grande Madre come realtà psichica, sviluppatasi dall’archetipo dell’eterno femminino. Nell’Asino d’oro di Apuleio si trova un inno a Iside che dà l’idea di come fosse concepita la Dèa. E’ la stessa Iside che parla e si definisce: “Io, madre di tutte le cose, signora di tutti gli elementi, principio di tutte le generazioni nei secoli, la più grande dei numi, la regina dei Mani, la prima dei celesti, archetipo immutabile degli dei e delle dee a cui concedo di governare col mio assenso le luminose volte del cielo, le salutari brezze del mare, i lacrimati silenzi degli inferi; io, la cui potenza, unica se pur multiforme, tutto il mondo venera con riti diversi, con diversi nomi”.

Una chiara definizione della Dèa, questa, alla quale si può far seguire, con altrettanta capacità di evidenziazione i caratteri una preghiera contenuta in un erbario inglese del XII secolo (British museum): “Dèa Divina Madre Natura, che generi tutte le cose e riporti di nuovo il sole che hai donato alle genti; Custode del cielo e del mare e di tutti gli dèi e i poteri; sotto il tuo influsso tutta la natura si assopisce  e dorme…Quando ti piace, tu riporti la lieta luce del giorno e nutri la vita con la tua eterna malleveria, e quando lo spirito degli uomini trapassa, è a te che fa ritorno. E invero tu sei giustamente chiamata Grande Madre degli dèi….”.

Queste definizione della Dèa ci conducono alla Potnia pre-ellenica, che ha il suo indubbio fondamento in una civiltà agricola, sorta nella civiltà neolitica circummediterranea[16], ma che era già presente nella società dei raccoglitori e dei cacciatori del Paleolitico.

Potnia è la Natura e comprende la terra, la luna, il cielo atmosferico e il sole, il quale è un ospite particolarmente gradito di Gaia in quanto figlio e paredro.

Un esempio significativo lo troviamo nella cultura basca dove Anna Lur è la Madre Terra, Eguzki o Eki è il sole, figliodi Amalur e Ilargi o Ile è la luna, figlia di Ana Lur. Nella teogonia esiodea Uranos (il cielo) è figlio di Gaia. La Potnia, Gaia è dunque il complesso terra-sole-luna, comprendente il cielo atmosferico e tutto ciò che in questo complesso nasce, si sviluppa e muore.

La Dèa non ha padre e non ha madre ed è dotata di autonomia generativa.

“La Potnia nella sua forma originaria di dèa non generata, rappresentante la suprema e concreta femminilità del divino, era dai Mediterranei sentita come una realtà trascendente, nel senso di una realtà extra umana, una realtà mitica quindi e, come tale, di là delle fontiere del tempo storico, vivente ed agente nel clima atemporale delle origini”. [17] 

Nessun dio può comandare alla Potnia, né può vantare diritti su di lei, in quanto la divinità suprema è femminile. La Dèa non è androgina, in quanto, come fa notare Uberto Pestalozza[18], l’androginia è statica, mentre l’autonomia generativa della Dèa è dinamica. Per questo motivo il figlio, da lei separato, diventa contemporaneamente l’amante in quanto entrambi sentono come inevitabile e irresistibile il desiderio di ricomporre “in estasi fuggevoli la pefezione androginica distrutta”. [19]

Con l’avvento del patriarcato Helios, il figlio diventa il padre. La Dèa, progressivamente viene messa da parte o demonizzata o, più semplicemente, sottoposta al dio padre. La denigrazione della Dèa la riduce al ruolo di strega, con le conseguenti repressioni che si abbattono su chi ancora, nei secoli, ne riconosce la divinità.

Nel 1484 Innocenzo VIII con bolla papale denuncia la stregoneria come congiura organizzata dall’esercito del diavolo contro il Sacro Impero Cristiano. La battaglia condotta contro la Dèa è incessante, segno della sua vitalità, che supera ogni tentativo, per quanto cruento, di abbatterne il culto. Quella della strega è un‘immagine archetipica della Grande Madre; è la Grande Madre nel suo aspetto distruttivo. La Grande Madre egizia Iside era chiamata la grande maga e la grande strega; quando era benevola era la madre redentrice, oblativa, che dà alla luce il figlio del Sole, Horus. Tale immagine riunisce in sé entrambi gli aspetti dell’archetipo della madre, il lato luminoso e il lato oscuro: la strega e la dèa benevola, materna. La Dèa Kalì può manifestarsi sia come dispensatrice di vita, sia come grande distruttrice. In ambito celtico abbiamo la complessa figura di Morrigane, archetipo della Grande Madre nel suo ruolo di strega e di distruttrice.

La cultura cristiana ha soffocato ed eliminato l’immagine femminile della Grande Madre presente in tutte le culture pagane, “poiché l’immagine materna della Vergine Maria personifica tutti gli aspetti belli e puri, ma non quelli distruttivi, animali, malefici; si può dire che il cristianesimo ha totalmente escluso l’incarnazione ctonia del principio femminile, il suo aspetto d’Ombra e accettato solo la parte superiore, luminosa, nel simbolo della Vergine Maria”. [20] 

Interessante comunque notare come Pio XII abbia chiamato Maria Vergine “domina rerum”, signora della natura, cosicché la Dèa ha riacquisto il suo lato Ombra.  Interessante, a questo proposito, anche la rivalutazione fatta da Benedetto XVI di eros accanto ad agape.

Portiamo ora la nostra attenzione a Dana. “La Dèa vedica Dana[21] – scrivono in proposito Alwyn e Brinley Rees – è la madre di Vrtra[22], il principale avversario di Indra, il re degli dèi, ma è anche la consorte dei sovrani Mitra-Varuna. Il suo ruolo ambivalente è paragonabile a quello di Danann nella tradizione irlandese. Danann è la madre degli Irlandesi e dà il proprio nome ai maghi Tuatha. D’altro canto, i “tre Dèi di Danann” sono di solito i suoi tre figli, Brian, Luchar e Lucharba, che appaiono nella storia irlandese soltanto come degli spietati assassini di Cian[23], il padre di Lug, il salvatore dei Tuatha Dé. Nonostante ciò, nella Seconda Battaglia di Mag Tuired, la stessa definizione viene data per indicare i tre artigiani Goibniu, Luchta e Credne, mentre in un’altra storia, il Corteggiamento di Etain, indica Lug, il Dagda e Ogma, i tre capi dei Tuatha. Il Dagda e Ogma, come anche Lug, vengono a volte descritti come i figli di  Ethniu, e nel Corteggiamento di Etain, Ethniu (che indica anche il nome di un fiume) è definito come un altro nome di Boand, amante di Dagda ed eponimo del Boyne, il fiume che, secondo il Dindsenchas, in Scozia è noto come il “Tetto dell’Oceano”, come il Severn in Inghilterra, il Tevere a Roma, il Giordano e l’Eufrate in Oriente e il Tigri nel «“paradiso perenne»”. [24] In questa sintetica descrizione di Dana fatta da Alwyn e Brinley Rees, ritroviamo, tra gli altri, uno degli aspetti essenziali della Dea Madre del Neolitico, della Potnia, di Gaia. Dana non ha subito il rovesciamento patrilineare, cosicchè conserva pienamente le sue caratteristiche di madre dei Tuatha Dé e, con i suoi vari nomi[25] (Etain, Ethniu, Boand), risulta madre e amante di Lug, di Ogmios e del Dagda, ossia delle principali figure maschili del pantheon celtico. Dana in ambito Vedico è una divinità fluviale, come Sarasvati[26] ed è madre dei Danava (plurale di Danu). Se consideriamo che Danimarca deriva da Danava marga, ossia la via dei Danava, possiamo ipotizzare, con David Frowley (American Institute of Vedic Studies) che gli ariani indoeuropei chiamassero se stessi Danavas e che i proto-europei fossero i figli di Tvashtar (o Kashyapa) e di Danu, attraverso il loro figlio Manu (Manava o Danavas = Arii).

Di Dana troviamo nel mondo celtico anche la denominazione Dôn, forma secondaria di Donwy, Trydonwy, Dyfrdowny (uno dei tre pozzi dell’oceano) laddove Dyfr significa acqua.

Nei Veda Danu significa “corrente”, “le acque del cielo”. Il rapporto con l’acqua lo ritroviamo nei nomi dei fiumi Don, Dnieper, Dnieter, Danubio. Etimologicamente Dana è un’acqua di luce e in molte culture i fiumi terreni sono il corrispondente dei fiumi del cielo (il Nilo è un esempio ormai classico ed universale).

Dana, adottata dagli Europei e mantenuta dai Celti nella sua funzione piena di Dèa Madre, nei Veda subisce l’inversione patrilineare, cosicchè i Danavas sono generalmente nemici del popolo vedico e dei suoi dèi (come i Vani degli Asi).

Una trattazione assai significativa del rapporto tra i Veda e gli Europei e tra questi e i Danavas lo troviamo in un articolo di David Frawley dell’American Institute of Vedic Studies[27]  dove l’autore sostiene che i Proto Europei Ariani, come i Celti, fossero originariamente un popolo vedico chiamato Danavas o Sudanavas (dio Danavas) connesso con i re vedici, i saggi e gli yogi.

“Molti antichi popoli europei, in particolare i Celti e i Germani – scrive David Frawley – considerano sé stessi come figli di Danu. …… Infatti, il termine Danu o Danava (il plurale di Danu) sembra formare il sostrato dell’identità Indo-Europea alla base degli elementi ellenici, illiro-veneti, italo-celtici, germani e balto-slavi. I Greci del nord erano chiamati Danuni. Perciò, gli Ariani Europei possono probabilmente essere stati chiamati Danavas. Conformemente alle fonti romane (Tacito nei suoi Annali e nelle Historiae), i Germani sostennero di essere discendenti di Mannus, figlio di Tuisto. Tuisto è in relazione con Tvashtar, il vedico padre-creatore del cielo, il quale è anche chiamato il padre di Manu (R.V. X.17. 1-2). Questo fa del popolo dei Rig-Veda i discendenti di Manu, il figlio di Tvashtar. Nel Rig Veda, Tvashtar appare come padre di Indra, il quale confezionò per lui i suoi fulmini tonanti (vajra) (R.V. X. 48.3). Indra[28] in qualche caso si mostra bizzarro con Tvashtar, poiché egli è costretto a superarlo (R.V. III.48. 3-4). In molti casi il figlio di Tvashtar è Vishvarupa o Vritra, che Indra ha ucciso, tagliandogli le tre teste (R.V. X.8. 8-9) (TS II – 4.12, II 5.1). ….. In molti casi Vritra è chiamato Danava, figlio della Dèa Dana, ….Chiaramente Vritra è Vishvarupa, il figlio del dio Tvashtar e della Dèa Danu. Danava, inoltre, significa serpente o dragone (R.V. V.32.1-2-) e questi non è solo un simbolo di saggezza, ma di potere e entrambe le tradizioni, quelle vediche e degli antichi europei hanno i loro buoni e cattivi serpenti o dragoni. In questa curiosa storia entrambi, Indra e Vritra, appaiono in ultima analisi come fratelli, poiché sono i figli di Tvashtar. Dobbiamo inoltre notare che Tvashtar confezionò il fulmine tuono per Indra per sradicare Vritra (R.V. 1.88.5). Indra e Vritra rappresentano le forze di espansione e di contrazione o la dualità insita in ambedue. Essi sono entrambi inerenti in Tvashtar e rappresentano i due aspetti del Creatore o della creazione come conoscenza e ignoranza. ……. Nel Rig Veda Danu o Dasyu è riferito a popoli nemici ed è generalmente un termine denigratorio (Rv.I.32.9; III.3.8.; V.30.4; V.32.1,4,7; X.120.6). I Danavas, o discendenti di Danu, sono generalmente nemici del popolo vedico e dei suoi dèi. Perciò, giusto come per i Deva-Asura o Arya-Dasyu, la scissione riflette la spaccatura tra Indovedici e Persiani, ma può suggerire che la scissione Deva-Danava riflette un’altra divisione nel popolo vedico tra Proto-Indiani Ariani e Proto Europei Ariani. In questo processo il termine Danu fu adottato dai Proto Europei e divenne denigrato dai popoli vedici successivi. Vorremmo anche ricordare (VaP II.7) come nei Veda, il termine Danavas è riferito ad un ampio gruppo di popolazioni, alcuni nemici, altri amici, con vari demoni mitici. Nel Rig Veda i Danavas sono chiamati amanusha o non umani (R.V. II.11.10) come opposti agli umani Manusha. Gli Europei hanno un inizio negativo simile con i Titani greci e i Fomori celtici, che corrispondono ancora al mitico lato dei Danavas come potenze oscure del mondo sotterraneo o sottomarino, come i vedici Asuras e Rakshasas. Tali mitici Danavas possono difficilmente essere ridotti agli Ariani Proto Europei o a un singolo gruppo di popolazioni. Lo studioso dei Celti Peter Ellis nota che l’epica irlandese contiene molti episodi di lotta tra i figli di Domnu, rappresentanti il nero e il diabolico e i figli di Danu, rappresentanti luce e bontà. Inoltre i figli di Domnu non sono completamente superati o eradicati dal mondo. Simbolicamente, essi sono il mondo. Il conflitto è tra “l’acqua del paradiso” e il “mondo”. La stessa cosa può essere detta della guerra vedica tra Davas e Danavas o della guerra puranica – brahmana tra Devas e Asura”. [29]  

“I Rig Veda contengono molti esempi dove Danu ha un significato positivo indicante abbondanza e perfino indicante la divinità in generale. Danucitra, significante la ricchezza della luce, è presente poche volte (R.V. I.174.7); V.59.8). I Maruts (dei del vento, ndr) sono chiamati Jira Danu o al plurale Jiara danava o veloci nel dare o forse veloci Danus o veloci Dèi (R.V. 59.9). Questo termine Jiradanu si trova in alcuni casi come dono dei Maruts nell’ultima riga di molti inni di Agatrya (R.V. 1.165.169, 171.178, 180.186.189,190). Mitra e Varuna erano chiamati Sripra-Danu o facili nel donare e i loro molti doni, danuni, erano lodati (R.V. VIII.25.5-6). Gli Ashvins erano chiamati signori di Danava, Danunashpati (R.V. VIII.8.16). Il Soma è anche chiamato Danuna e Danupinva, donante Danu o traboccante di Danu (R.V. IX.97.23) che collega Danu con l’acqua e con i fiumi”. [30]

“I Maruts come dei del vento sono dei poteri del fulmine, che nei Veda, come nel più antico pensiero, è stato considerato come un serpente o un drago, che splende brillante come i serpenti. (R.V. I.171.2). I Maruts sono i serpenti buoni e aiutano Indra ad uccidere Vritra e sono i suoi principali amici e compagni. Indra è chiamato Marutvan, o in possesso dei Maruts. Il loro leader è Vishnu (R.V. v.87), che è chiamato Evaya-Marut. Con Rudra (Shiva) come loro padre e Prishni (Shakti) come loro madre riflettono tutti gli dei del tardo induismo. Come figli di Shiva sono connessi con Skanda, Ganesha e Hanuman. Forse questi Sudanavas o buoni Danavas sono i Maruts, che nel loro viaggio hanno guidato e condotto i popoli, compresi i Celti e gli altri europei seguaci di Danu. Come riguardo ai figli di Rudra, si vedranno come Rudra vari personaggi, come Cernunnos tra i Celti, che come Rudra è il signore degli animali ed è raffigurato in postura yoga, come nel calderone di Gundestrop. Se i Maruts erano responsabili per la diffusione della cultura vedica, si potrebbero chiamare i figli di Danu in senso positivo. Si potrebbe anche sostenere che i Sudanavas sono stati i Maruts, Druidi o altre classi di Rishi, mentre i popoli non regolati, in particolare gli indisciplinati Kshatriyas o classe guerriera potrebbero diventare Danavas nel senso negativo, quando si sono rifiutati di accettare la direzione spirituale”[31]   

“Danu è probabilmente, per alcuni aspetti, un sinonimo di Maya, di un potere di abbondanza, ma anche di illusione. Come la radice Ma, la radice Da significa “dividere” o “su misura”. Maya è il potere della Danavas (RV. II.11.10). [32]

Notiamo “una connessione tra gli Sciti e i Celti, dei quali i sacerdoti druidi connettono se stessi con gli Sciti in un periodo antico. Gli Sciti, inoltre, hanno mantenuto scambi tra l’India e l’Europa che sono continuati per molti secoli. A questo riguardo i Proto-Europei possono aver avuto una derivazione dagli Ariani dell’India attraverso migrazioni, diffusione culturale, o cosa più facile, una combinazione dei due”. [33]

Partiamo da qui, per passare dall’unificazione d’Europa nel nome dell’Euro, all’unificazione d’Europa nel nome di una narrazione comune dei popoli, basata sulla ricerca e il riconoscimento delle radici.

©Silvano Danesi


[1] Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi.

[2] Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi.

[3] Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi.

[4] Traduzione di Miroslav Marcovich, in Eraclito, testimonianze, imitazioni e frammenti, Bompiani

[5] Traduzione di Miroslav Marcovich, in Eraclito, testimonianze, imitazioni e frammenti, Bompiani

[6] Traduzione di Miroslav Marcovich, in Eraclito, testimonianze, imitazioni e frammenti, Bompiani

[7] Traduzione di Miroslav Marcovich, in Eraclito, testimonianze, imitazioni e frammenti, Bompiani

[8] Traduzione di Miroslav Marcovich, in Eraclito, testimonianze, imitazioni e frammenti, Bompiani

[9] Traduzione di Miroslav Marcovich, in Eraclito, testimonianze, imitazioni e frammenti, Bompiani

[10] Marija Gimbutas, Il linguaggio della Dea, Venexia

[11] Marija Gimbutas, Il linguaggio della Dea, Venexia

[12] Marija Gimbutas, Il linguaggio della Dea, Venexia

[13] Marija Gimbutas, Il linguaggio della Dea, Venexia

[14] Marija Gimbutas, Le dee viventi, Medusa

[15] Marija Gimbutas, Le dee viventi, Medusa

[16] vedi Uberto pestalozza, Eterno femminino mediterraneo- Neri Pozza

[17]Uberto Ppestalozza, Eterno femminino mediterraneo- Neri Pozza

[18] Uberto Pestalozza, Eterno femminino mediterraneo- Neri Pozza

[19] Uberto Pestalozza, Eterno femminino mediterraneo- Neri Pozza

[20] Marie Louise Von Franz, L’ombra e il male nelle fiabe – Bollati Boringhieri

[21] Dasyu

[22] chiamato anche Ahi – mare – serpente

[23] il generatore

[24] Alwyn e Brinley Rees, L’eredità celtica, Ed. Mediterranee

[25] I nomi della Dea sono molteplici e riguardano l’insieme dei fenomeni racchiusi nel mondo atmosferico di gaia (terra, fiumi, mare, ecc.).

[26] Fiume nell’era della civiltà di Moenjio daro e di harappa e poi divenuta paredra di Brahma.

[27] Pubblicato integralmente in http://www.dedanaan.com

[28] Associato a Lug

[29] David Frowley (American Institute of Vedic Studies)- Pubblicato integralmente in http://www.dedanaan.com

[30] David Frowley (American Institute of Vedic Studies)- Pubblicato integralmente in http://www.dedanaan.com

[31] David Frowley (American Institute of Vedic Studies)- Pubblicato integralmente in http://www.dedanaan.com

[32] David Frowley (American Institute of Vedic Studies)- Pubblicato integralmente in http://www.dedanaan.com

[33] David Frowley (American Institute of Vedic Studies)- Pubblicato integralmente in http://www.dedanaan.com

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