La squadratura rituale compiuta ad ogni inizio di Tornata di lavori massonici non è una modalità cerimoniale, ma una vera e propria tracciatura e fondazione dello spazio-tempo sacro nel quale i lavori si svolgono.
Troviamo i riferimenti esplicativi essenziali di questa azione, dopo che è stata compiuta, nella ritualità successiva, laddove viene detto che il secondo Sorvegliante occupa il suo posto al sud del quadrilungo di Loggia per “meglio osservare il Sole al suo meridiano”.
Dopo questa prima indicazione, una seconda precisa ulteriormente i riferimenti dell’azione di tracciatura, indicando nel mezzogiorno l’ora di inizio dei lavori.
Il Sole a mezzogiorno è allo zenith e un possibile gnomone, posto sulla perpendicolare, non proietta alcuna ombra.
Il secondo Sorvegliante, posto, come s’è detto, nel lato sud del quadrilungo, osserva il meridiano. Essendo il Sole a mezzogiorno allo zenith del meridiano locale, proveniente dai meridiani posti ad est (dove sorge al mattino) e avviato verso i meridiani posti a ovest (dove tramonta la sera), il secondo Sorvegliante è in grado di verificare esattamente l’ora.
Il Maestro Venerabile chiede al primo Sorvegliante a che ora iniziano i lavori e questi risponde: “A mezzogiorno”.
A questo punto il Maestro Venerabile chiede al primo Sorvegliante che ora è e il primo Sorvegliante, che osserva la Colonna del sud e che si dà per acquisito che abbia ricevuto un cenno dal secondo Sorvegliante, risponde che è mezzogiorno.
Fatte queste premesse rituali, passiamo a considerare che lo gnomone della meridiana, con il quale si misura il tempo, è da intendersi simbolicamente come axis mundi: l’asse del mondo virtualmente presente al centro del quadrilungo e del tracciato dovuto alla triplice deambulazione di apprendisti, compagni e maestri.
La deambulazione, infatti, traccia una triplice cinta rettangolare all’interno del quadrilungo, al cui centro possiamo considerare essere presente virtualmente l’axis mundi.


Consideriamo ora un altro elemento essenziale della deambulazione: il passo.
Stoicheion (στοιχείον) è vocabolo greco indicante solitamente un componente primo, minimo, non ulteriormente riducibile di un insieme composto, ma, ci avverte Herta Von Dechen, è anche “il segmento di una linea misurato a passi, la lunghezza misurata dello gnomon; e il verbo στοιχείουν, «fondare», significa «fissare il tracciato» di un edificio misurandolo a passi”. [1]
Questo passeggiare (deambulazione) è, pertanto, un misurare e al contempo un tracciare e un fondare. Misurare è attribuire una misura, un numero, una forma. La misura significa numero e numerare, così come nominare, è mettere ordine rendendo l’incommensurabile (caos) commensurabile (ordine). Ordo ab chao.
“Mettere ordine – scrive Herta Von Dechen – vuol dire misurare; misurare vuol dire creare; nei tempi arcaici non troviamo nessun’altra concezione di «creazione» e, se non si tiene presente che «creare» significa «misurare», non si può comprendere nessuno dei cosiddetti «miti della creazione»”. [2]
Nella Sapienza di Salomone (Bibbia) Dio ha creato il mondo secondo il numero, la misura e il peso.
Nel Timeo di Platone il Demiurgo divide l’Anima del Mondo in intervalli armonici.
Nell’egiziano antico maa ha il significato divedere, scrutare, prender conoscenza e anche di regolo, ordine cosmico, ordine stabilito, reale, esatto effettivo.
Troviamo il concetto di misura nell’indoeuropeo mātŗ: colui che volge la funzione (tŗ) di definire i limiti (mā) e mātŗ è anche la madre, ossia colei che svolge la funzione (tŗ) di occuparsi del mondo materiale.
Maat, sostiene Herta Von Dechen, è il principio di misura e il principale «Signore di maat» è Ptah, chiamato anche «Signore degli anni». [3] Spazio e tempo. Spazio-tempo.
Interessante osservare come Ptah sia raffigurato come un uomo fasciato come una mummia, ossia immobile nella sua fissità primordiale e come abbia nelle mani un bastone composto da Uas, Ankh e Jed, ossia dai simboli del rapporto tra il cielo e la terra, della vita e della stabilità. Ptah è il menfitico dio creatore, demiurgo, patrono degli artigiani e degli architetti, nonché dio del sapere e della conoscenza. Fu egli stesso muratore, ingegnere, fabbro e artista.

Si vuole che il nome stesso di Egitto sia la corruzione greca di Hut-Ka-Ptah, Casa dello spirito di Ptah.
Il misurare i passi implica il movimento. Plutarco, nel suo Iside e Osiride, narra di quanto asseriva Eudosso.
“Eudosso – afferma Plutarco – scrive che gli Egiziani raccontano di Zeus questa storia. Il dio non poteva camminare, giacché le sue gambe erano sin dalla nascita saldate in un pezzo solo, e per la vergogna passava il suo tempo in solitudine. Fu Iside a tagliare e separare quella strana parte del suo corpo, mettendolo così in grado di camminare con le sue gambe. E il significato della storia è che la mente e la ragione del dio sono di per sé immobili nell’invisibile e nell’insensibile e prendono la strada della creazione grazie a una spinta motrice”.
Nel mito raccontato da Plutarco colui che è l’invisibile e l’insensibile intraprende la creazione, ossia la misurazione a passi, dopo essere passato dall’unità alla dualità (come indica anche la forcella del bastone Uas) grazie ad un impulso che determina il movimento.
Questo impulso in indoeuropeo è definito tapas: il calore cosmico, l’ardore spirituale che fa nascere Eka, l’Uno, crea ŗta, la legge divina e satya, la verità.
Troviamo il concetto di passo nell’indoeuropeo tam: misura (m) del moto tra due punti (t); spazio delimitato, ma anche misura (m) del moto della luce (d/t) e tempo. [4]
Nell’Egitto antico, come vedremo più avanti, l’impulso è rappresentato dall’Isola del Fuoco e da Heka.
Abbiamo sin qui visto che nel rituale massonico il secondo Sorvegliante siede al Sud per osservare il meridiano e stabilire l’ora di inizio dei lavori.
Dal rituale apprendiamo che il Maestro Venerabile siede all’Est del quadrilungo in quanto, “come il sole, apparendo ad oriente per dare inizio al giorno illumina la Terra, così il MaestroVenerabile sedendo all’oriente per dirigere i lavori, illumina i Fratelli con la propria scienza massonica”.
Infine, il primo Sorvegliante siede all’occidente e alla domanda sul perché di tale posizione risponde. “Come il Sole tramonta in questo punto per chiudere il giorno, così il 1° Sorvegliante occupa tale posto per chiudere la Loggia, pagare gli operai e rimandarli contenti e soddisfatti a gloria ed onore dell’Ordine”.
Da queste affermazioni potremmo concludere che i lavori massonici inizino a mezzogiorno, quando il Sole è al suo zenith e chiudano al tramonto. Non è così.
Alla domanda del Maestro Venerabile riguardante l’ora di chiusura dei lavori, il secondo Sorvegliante risponde: “A mezzanotte”.
Perché mezzanotte?
La risposta è, ancora una volta nella simbologia del Tempio, che vede, accanto al Maestro Venerabile due luminari: il Sole e la Luna.
Qui la ritualità ci presenta in modo mirabile come si debba sempre accompagnare ogni aspetto evidente con un aspetto celato.
Nella prima parte dei lavori massonici, da mezzogiorno al tramonto, il Maestro è come il Sole che illumina i lavori massonici e, nella seconda parte, è come la Luna, che illumina a sua volta i lavori con un andamento particolare e assai significativo: il moto della luce lunare.
Il Sole è sempre presente dal mezzogiorno al tramonto e, se guardiamo al suo andamento durante l’anno, non muore mai, non scompare mai del tutto: si affievolisce dal solstizio estivo a quello invernale e si rafforza da quello invernale a quello estivo. La sua luce, pertanto, è sempre presente ed è, dal suo sorgere al suo tramonto, coprente ogni altra luce. La Luna, al contrario, si accende e si spegne e lascia che il cielo stellato si riveli progressivamente e progressivamente scompaia. La Luna nuova o nera dà al cielo stellato tutta la sua presenza di nero luminoso e poi, man mano cresce, lo rende meno visibile, più opaco e quando è Luna piena in parte lo sovrasta, ma mai lo copre con la propria luminosità.
“E allora ne consegue – scrive in proposito Hugo Winckler – che dei due, appartiene alla Luna il mondo superiore, al Sole l’inferiore, assai in contrasto con il nostro sentimento, ma astronomicamente esatto. Invero gli astri sono visibili solo di notte; la loro luce, luce degli dèi splende, gli dèi si mostrano e parlano, solo di notte. E quella forza che li oscura, che li fa ammutolire, è appunto il Sole”.[5] Se consideriamo gli dèi come principi di leggi, neter, li possiamo annoverare come elementi essenziali della conoscenza.
Non solo, “la Luna muore e rinasce continuamente: essa è l’immagine della vita immortale”. [6]
In Egitto il sole è Ra, è Osiride, è Horus ed è declinato al maschile. Così è anche per la Luna, che è Thoth, il dio della conoscenza e nella mitologia babilonese è Sin, chiamato anche “divina falce di luna”.
Il messaggio simbolico, pertanto, non è, come spesso s’intende, che nel Tempio sono presenti un’energia maschile (Sole) e un’energia femminile (Luna), ma che il Maestro Venerabile dirige i lavori in quanto Sole, luce coprente ogni altra luce e attinente alla parte esteriore, operativa, realizzativa e dirige i lavori in quanto Luna, luce intermittente, che lascia vedere, che lascia trasparire, che lascia intuire e che volge i lavori alla conoscenza e alla progettualità.
Dal mezzogiorno al tramonto si opera vedendo in cielo un solo astro, il quale ci permette di vedere bene, di osservare, di capire tutto quanto ci può riguardare nel nostro d’intorno. Un d’intorno che è racchiuso nell’orizzonte e tra il cielo e la terra: un qua e un là, un sopra e un sotto.
Dal tramonto alla mezzanotte possiamo guardare il nostro interno, ma anche vedere, osservare, capire il cielo stellato, qual nero luminoso che è la fonte, la Vera Luce, come ben spiegano la tradizione egizia e quella indoeuropea.
Nel Kore Kosmou (Estratto XXIII, 32) ricorre il “Nero perfetto” quale dono che Iside ottenne da Camefi, ossia da Kamutef (o Kamatef), il “padre di sua madre”, l’autogenerato, il serpente primordiale. Tale “Nero perfetto” è la tenebra che contiene e genera la luce. Il serpente cosmico Kamatef ha deposto Bnnt m Nu, il seme del Nu. Il “Nero perfetto” evoca le acque cosmiche, il Mu-Nu egizio, l’Abisso celeste, del quale è l’alter ego il serpente Kamutef, “un luogo che, in base alle descrizioni degli antichi Egizi, sembra posto al di fuori del tempo e dello spazio”. [7] “Questo oceano – scrive Boris de Rachelwiltz – era descritto come un’espansione illimitata di acque prive di moto che continuano ad esistere, sotto forma di flusso infinito («Hehu») dopo la creazione della Terra, ai suoi estremi confini, che sarebbe tornato un giorno a distruggere e a dare vita a una nuova creazione”. [8] Hehu è l’eternità e Nu è l’inerte, il non organizzato. Nel Libro di Nut (Papiro di Carlsberg) il Nu è “quella regione che è oltre il cielo, è in totale oscurità, i suoi confini sono sconosciuti nelle quattro direzioni”. Nel cap. 75 del Libro dei Morti, Osiride dice ad Atum: “Che cos’è questo luogo deserto in cui sono venuto? Non c’è acqua, non c’è aria, è profondo incommensaurabilmente, è nero come la notte più nera”. Nei Testi dei Sarcofagi il Nu è definito come “l’infinito nulla, inesistente, buio”. Nu è definito da Wallis Budge (The Encyclopedia of Ancient Egypt”) come un luogo “informe, scuro, della nerezza della notte più nera”. Nell’antico Egitto Heka è il Neter del potere creativo, della magia e della parola. Nei Testi delle Piramidi (397) è scritto: “Heka, o essenza vitale, portata dall’Isola di Fuoco, patria della luce inestinguibile”. Robert Thomas Rundel Clark (pag. 240) sostiene che l’essenza vitale Heka era stata portata da una fonte magica remotissima, l’Isola di Fuoco, la patria della luce inestinguibile, al di là dei confini del mondo dove erano nati o resuscitati gli dèi”. [9] L’Isola del Fuoco ricorda il concetto di ardore che si accende nelle Acque tenebrose Na, chiamate “madri”, che “si rivelano come la vera e unica causa efficiente dell’Universo”. [10] In sanscrito le Acque cosmiche sono chiamate āpo-mātarah «madri» e definite genitrici di tutte le cose mobili e immobili del creato”. [11]
La Grande Madre è qui presente come Na e come Ka e come Isola del Fuoco. E’ evidente la similitudine concettuale dell’egizia Heka con le lingue indoeuropee dove da Ka deriva Eka (e+ka è il sorgere della luce), che dà origine a Da, luce creata. Prima dell’inizio, ossia della nascita dell’Uno, Eka per la potenza dell’ardore Tapas, esiste un’insondabile profondità di Acque Na oscure, tenebrose, il Nulla (nessuna cosa), un Vuoto senza forma. Se analizziamo questi concetti alla luce delle radici indoeuropee con le quali gli inni vedici sono stati formulati, Na sono le Acque scure e insondabili, che contengono una luce increata Ka, dal significato di Acque luminose, luce e anche felicità. Potremmo definirla la Vera Luce.
Il Sole è l’aspetto demiurgico, l’azione evidente e vivificante di una realtà nascosta che è al di là, oltre il d’intorno. Il Sole è Lógos, è azione intelligente della luce e, in quanto azione, è lavoro: érgon. Il Sole è l’agente dell’Archè, del Nun, del Na, dell’Oceano primordiale, del Nero luminoso, che contiene in sé la Vera Luce, quel Nero perfetto” che Iside ottenne in dono da Camefi, ossia da Kamutef (o Kamatef), il “padre di sua madre”, l’autogenerato, il serpente primordiale.
Il Maestro Venerabile, pertanto, è il Sole demiurgico, illuminante, improntante ed è il Luno, ossia la luce che rischiara la notte, ma che lascia intravvedere l’oltre. Un oltre che è rappresentato dal cielo che copre il Tempio e che la linea dello zodiaco, posta ai lati del quadrilungo, separa simbolicamente nel suo essere Nut, il cielo visibile delle stelle a noi più vicine, che segnano il procedere del Sole e della Luna (l’ordine), dal suo essere Nu o Nun, l’Abisso, l’Oceano primordiale, che contiene in sé l’Isola del Fuoco, quel “fuoco sempre vivente” (Eraclito) del quale troviamo una descrizione simbolica anche al XXX grado del Rito scozzese nella radiazione misteriosa di un focolaio eterno (il caos). Un focolaio eterno irradiante che è l’ardore del Tutto di energia informata, significante e cosciente che possiamo anche definire Grande Architetto dell’Universo, essendo l’Uni-verso (un insieme in sé concluso) una sua creazione, il suo passo misurante.
Il passo misurante della deambulazione rituale è, pertanto, un creare uno spazio e un tempo, un ordine che è la misurazione del caos essendo la misurazione il rendere esplicito, visibile, l’ordine implicito che vive nel Tutto.
La misurazione è apertura, separazione, creazione di uno spazio-tempo.
La tradizione ci riporta esempi antichi e condivisi da molte civiltà. In Babilonia, ad esempio, è Mummu a rappresentare il Demiurgo, il Logos, il quale separa i due genitori (Apsu e Tiamat), essendo egli stesso “«il mondo afferrabile coi sensi», dunque un mondo in cui sussistono spazio e tempo”. [12]
E’ così anche per Shu, l’egizio neter dell’Enneade che separa Nut (cielo) da Jeb (terra), essendo non solo l’atmosfera, ma anche il «dio della luce».
“L’espressione mummu – scrive Hugo Winckler – significa qualcosa come «intelletto» o «sapienza»” e, pertanto, “quello del Logos o mummu” è “il mondo del sapere, della conoscenza”. [13]
La deambulazione acquista qui anche il significato di apertura di uno spazio del sapere e della conoscenza, di uno spazio dell’intelletto.
Il Maestro Venerabile, in questo spazio, assume il ruolo antico, la cui origine si perde nella notte dei tempi e che ci viene attestata dalla simbologia babilonese, del Sole e della Luna sulla terra (così in basso come in alto) essendo questa “una «montagna» a sette balze o «climi», la montagna cosmica o «montagna dei paesi»”. [14]
Le sette balze corrispondono al transito dei sette “pianeti” (vedi candelabro a sette bracci) nello zodiaco, con la maggiore evidenza delle due orbite più importanti, quelle del Sole e della Luna.
La tradizione, a ben guardare, è nella simbologia del Tempio, il quale si pone così come “bet mummu”, la “Casa del sapere”.
© Silvano Danesi
[1] Herta Von Dechen, Il concetto di simmetria nelle culture arcaiche – In Sirio, Adelphi
[2] Herta Von Dechen, Il concetto di simmetria nelle culture arcaiche – In Sirio, Adelphi
[3] Vedi Herta Von Dechen, Il concetto di simmetria nelle culture arcaiche – In Sirio, Adelphi
[4] vedi in proposito Franco Rendich, Dizionario etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee, L’indoeuropea editrice
[5] Hugo Winckler, La cultura spirituale di Babilonia, Editori Riuniti
[6] Hugo Winckler, La cultura spirituale di Babilonia, Editori Riuniti
[7] Massimo Barbetta, Stargate – Il cielo degli Egizi, Uno ed.
[8] Boris De Rachewiltz, Miti egizi,
[9] Robert Thomas Rundel Clark, Mito e simbolo nell’antico Egitto, Saggiatore
[10] Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi Editore
[11] Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi Editore
[12] Hugo Winckler, La cultura spirituale di Babilonia, Editori Riuniti
[13] Hugo Winckler, La cultura spirituale di Babilonia, Editori Riuniti
[14] Hugo Winckler, La cultura spirituale di Babilonia, Editori Riuniti