Per la Bindi da riconfermare, c’è ancora molto da fare.

La signora Rosy Bindi, dopo una lunga indagine della Commissione da lei presieduta, ha messo nero su bianco che quasi 200 “fratelli” [leggi massoni] sono toccati o lambiti da indagini di mafia e sei sono condannati per associazione mafiosa. Più di 130 logge calabresi e siciliane sono state abbattute dal 1990 dalle quattro principali obbedienze massoniche in Italia, il Goi, la Gran Loggia degli Alam, la Gran Loggia regolare d’Italia, la Serenissima Gran Loggia d’Italia-Ordine generale degli Alam.

“L’esistenza di forme di infiltrazione delle organizzazioni criminali mafiose nelle associazioni a carattere massonico – si legge nella relazione della Commissione – è suggerita da una pluralità di risultanze dell’attività istruttoria della Commissione, derivante dalle audizioni svolte, dalle missioni effettuate e dalle acquisizioni documentali”. I rapporti fra mafie e massonerie ci sono. E la Commissione ne ha la prova concreta.

Benissimo. Complimenti. Brava la Bindi, che è auspicabile si candidi, sia votata e sia riproposta come presidente della Commissione Antimafia, per completare il lavoro, occupandosi, ad esempio, dei rapporti tra mafie e Chiesa cattolica.

Qualche suggerimento per il suo prossimo lavoro.

Nicola Gratteri, uno dei magistrati più impegnati contro la ’ndrangheta e uno dei massimi esperti di criminalità organizzata calabrese (da aprile 2016 guida la Procura di Catanzaro) e autore, assieme allo storico Antonio Nicaso, del libro Acqua santissima sui rapporti tra ’ndrangheta e Chiesa

In un’intervista rilasciata a Famiglia Cristiana il 30 gennaio 2017 alla domanda: “Il santuario di Polsi ha una fama sinistra di luogo in cui si svolgono i summit della ’ndrangheta. È una leggenda o c’è del vero?”, risponde: «A Polsi non ci sono più quelle riunioni di centinaia di ’ndranghetisti che intorno al santuario della Madonna, in occasione soprattutto della festa di settembre, ratificavano nomine e incarichi, non sono più avvenute le mega-riunioni in cui si decidevano strategie da seguire, si facevano i programmi e gli organigrammi, come avvenne nel 1969”.

Possibile che Paolo VI non fosse informato? E il vescovo locale? E il parroco? Tutti come le tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo?

Ad Ayas, in Valle D’Aosta, Gratteri, durante una manifestazione pubblica afferma: “Di fronte ai capimafia, ci sono preti che chiudono un occhio e preti che li chiudono tutti e due”. “Stiamo studiando –ha detto sempre Gratteri – il rapporto tra Chiesa e ’ndrangheta, ed emergono cose piuttosto spiacevoli per la Chiesa. Gli affiliati prima di uccidere pregano la Madonna di Polsi, i santini servono anche nei riti di iniziazione della ’ndrangheta. Non solo, nei bunker troviamo sempre immagini sacre, della Madonna di Polsi, di San Michele Arcangelo e, new entry, anche di Padre Pio. Per questo lo ’ndranghetista quando uccide è convinto di essere nel giusto”. Il motivo di questa inquietante vicinanza, in alcuni casi, tra clero e ’ndrangheta è da ricercarsi nella necessità, per il capomafia, di avere un controllo totale sul territorio. «Deve esternare il suo rapporto con i preti e con i vescovi – dice Gratteri – perché deve esternare il potere. Il capomafia deve dimostrare di essere alla pari con il potere legale e quindi anche con la Chiesa. Altrimenti perché fanno a gara a chi porta la statua della santa alla processione? E perché quando il corteo sfila davanti alla casa del capomafia, il figlio di questo offre una banconota da 500 euro come dono? E perché comprano i banchi e ristrutturano le facciate delle chiese? Perché questo è potere, non è essere cristiani. Ed è qui che i preti chiudono un occhio e a volte pure due».  (da: La Stampa, 07,08,2013.

Non basta? L’accoglienza degli immigrati produce affari sporchi. Affari in cui si mischiano ‘ndrangheta e anche la Chiesa: in manette, tra le persone finite in stato di fermo, c’è anche un prete, don Edoardo Scordio, parroco dell’Isola di Capo Rizzuto e tra i fondatori delle Misericordie.

Secondo i pm, il Centro di accoglienza richiedenti asilo di Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto è “infiltrato dai clan della ‘ndrangheta”. Un’accusa pesantissima. Tra i fermati anche Leonardo Sacco, governatore della “Fraternita di Misericordia, l’Ente che gestisce il Centro di Isola.

Si tratta dell’operazione chiamata “Johnny”, scattata all’alba di lunedì 15 maggio, che ricostruisce – secondo i magistrati di Catanzaro guidati dal procuratore Nicola Gratteri – quello che accadeva dentro il Cara di Isola Capo Rizzuto, come si muoveva la cosca e chi era il “colletto bianco” degli Arena che gestiva per conto della famiglia di ‘ndrangheta i contratti di appalto e forniture con la Prefettura per i 1.500 migranti ospiti di quella che è considerata la più grande struttura d’accoglienza d’Europa, con cinque ettari di superficie. Secondo l’accusa degli oltre 100 milioni di euro assegnati alla struttura, almeno 30 sarebbero stati dirottati verso i clan. Oltre ai fermi, sono scattati i sequestri di appartamenti e macchine di lusso. […]. La cosca Arena aveva messo le mani anche sui centri di Lampedusa, 4 milioni di euro di appalti che venivano affidati a imprese appositamente costituite dagli Arena e da altre organizzazioni criminali del comprensorio, che si dividevano così i fondi comunitari riservati ai profughi. (ImolaOggi, 15 maggio2017).

Nel suo “Peccato Originale”, Gianluigi Nuzzi, scrive di Marcinkus, di Sindona, di Calvi, di De Bonis e di uno Ior parallelo con uomini vicini a Sindona e alla mafia italoamericana. “Soldi – scrive Nuzi – profumati d’incenso e mischiati a narcodollari macchiati di sangue”.

Michele Sindona, al quale la curia romana, scrive sempre Nuzi, “su indicazione di Paolo VI, aveva affidato l’incarico di smobilizzare le partecipazioni della Santa sede in diverse società italiane”.

“Michele Sindona – scrive sempre Nuzi – non era solo socio e consulente dello Ior. La squadra dello spregiudicato finanziere siciliano, uomo di fiducia di mafiosi del calibro di Bontate, dei Genovese, insomma del gotha criminale italoamericano era entrato nella banca vaticana a piene mani”.

Calvi, ci dice Nuzi sulla base delle testimonianza della moglie del banchiere, aveva rapporti con Escobar e con il cartello di Medelin, ossia con il narcotraffico internazionale.

Dato che Papa Francesco ha di nuovo denunciato che in Vaticano c’è del marcio, per la signora Bondi c’è lavoro da fare.

La Bindi, nel suo incarico che si auspica confermato, potrebbe anche approfondire i rapporti tra le mafie e il suo partito.

Un esempio: Brescello (il Giornale 12.05.2016) “dove non era infetto dalla ‘ndrangheta solo il Comune ma tutto il Pd locale. Parola di Viminale. Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dello scioglimento del comune emiliano a guida Dem reso famoso dalla saga Don Camillo e Peppone, i guai dell’amministrazione guidata da Marcello Coffrini vengono messi nero su bianco dai rapporti allegati alla Gazzetta. Il più duro contro il Pd è quello firmato dal prefetto di Reggio Emilia Raffaele Ruberto, pubblicato dal sito reggioreport.it. Una relazione pesantissima che rischia di innescare nuove grane dentro il Pd emiliano, già fiaccato dallo scandalo che ha sfiorato il ministro dei Trasporti Graziano Delrio per le infiltrazioni della ‘ndrangheta a Reggio Emilia, altra città a guida Pd che Delrio ha governato prima di salire a Palazzo Chigi. Nelle relazioni che è arrivata sul tavolo del Viminale ci sono, come è ovvio, diversi omissis. Dopo l’affondo sulla situazione di Brescello che il prefetto Ruberto definisce «gravemente inquinata» per i rapporti con la cosca di ‘ndrangheta dei Grande Aracri, originaria di Cutro (Crotone), il rappresentante del ministero dell’Interno punta il dito contro il Pd: «Assume rilievo la circostanza che amministratori nei precedenti mandati, e ora presenti nell’attuale compagine delle Giunta (omissis e omissis), siano entrati in relazione con taluni imprenditori edili di origine calabrese, vicini alla ndrangheta, per effetto della partecipazione congiunta ad un comitato locale politico nel 2007 (cioè il Pd, ndr). La compartecipazione al predetto comitato politico dei menzionati soggetti, in parte amministratori comunali, fornisce una lettura in chiave sintomatica ed emblematica di cointeressenze politiche – sottolinea Ruberto – a testimonianza di una comunanza di idee e di orientamenti». Insomma, Pd e ‘ndrangheta secondo Ruberto andavano a braccetto”.

Gli esempi bastano?

Per la signora Bindi, che speriamo riconfermata al Parlamento e al ruolo di presidente della Commissione Antimafia, c’è molto lavoro da fare.

Silvano Danesi

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