Gratta e vinci

Gratta e vinci. Questo irritante e banale giochino, che ci circonda come un’erba infestante e come un virus inducente ludopatia, se guardato con occhio attento e non ludopatico, può indicarci un metodo interessante di conoscenza.

Ogni incontro della nostra vita, con una persona, con un libro, con un evento, piacevole o doloroso, contiene un insegnamento se siamo aperti e attenti.

Cosa ci insegna il Gratta e vinci?

Il primo insegnamento riguarda il nascondimento e lo svelamento. Sotto una patina si nascondono dei codici. Per scoprirli è necessario grattare, togliere la patina, eliminare la velatura.

Il secondo insegnamento è che la vittoria è conseguita solo se le chiavi, ossia i codici svelati, sono tra di loro coerenti, come i numeri del lucchetto di una valigia. Solo un ordine prestabilito consente la vincita o l’apertura. Anche il lucchetto di una valigia, a ben guardare, ha qualcosa da insegnare.

Il Gratta e vinci ci insegna un metodo. Proviamo, pertanto, ad applicarlo ai codici che ci vengono proposti dall’antica tradizione vedica.

Quello vedico è il Trimundio di un quaternio, ossia i ¾ dell’intero, dove ¼ rimane sconosciuto ed è uguale al tutto.

Nel Trimundio, dunque, la trinità è l’aspetto dinamico, in manifestazione,  ¾ di un quaternio, ossia di un intero dove ¼  è il dio sconosciuto che rimane tuttavia nella sua interezza anche quando distingue da sé la sua parte manifesta.

Accade così che la manifestazione non avvenga per divisione dell’uno in due, ma nella distinzione di ¾ e ¼ , dove ¼ rimane l’intero, ossia ancora 4/4.

Il Para(primo)-Brahman (nirguna, senza attributi) si manifesta nel Brahman (raguna, con attributi).

Se rimaniamo in superficie, ossia non grattiamo, è assai difficile pensare che4/4 sia uguale a ¼. Tuttavia, se accettiamo il paradosso e grattando togliamo il velo, possiamo immaginare che l’operazione proceda all’infinito. In questo modo ¼ , che è uguale all’intero, manifesterà i suoi  ¾ e il rimanente ¼ sarà ancora  4/4, ossia l’intero.

In tempi recenti Mandelbrot ha attualizzato questo metodo con la teoria dei frattali, la quale è alla base di una visione ologrammatica dell’universo.

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Cosa significa che  ¼ è sempre uguale all’intero? Significa che, per quanto si riduca la superficie di un ologramma, ogni piccolo pezzo renderà l’intero.

Un’antica mitologia cosmogonica si svela, così, essere la descrizione scientifica dell’ologrammaticità dell’universo: un immenso frattale, ove ogni minuscolo pezzo è come il tutto.

Un frattale è un oggetto geometrico caratterizzato dal fatto di ripetersi nella sua struttura sempre allo stesso modo, ma su scale diverse, non cambiando aspetto in nessuna delle scale studiate. Spesso si indica questa caratteristica dicendo che l’oggetto somiglia a sé stesso, in un concetto che va sotto il nome di autosimilarità.

“L’autosimilarità e l’invarianza di scala dei loro modelli geometrici, frammentati, chiamati frattali – scrivono Ervin Laszlo e Juede Currivan a proposito dei sistemi complessi – sono anche la base degli ologrammi”. [i]

La tradizione ci consegna anche la cognizione della costruzione dell’altare di Agni, il dio  vedico del fuoco, che soggiace alla regola dell’accrescimento (diminuzione) che conserva la forma, che utilizza lo gnomone e regole geometriche che troviamo descritte negli Elementi di Euclide e, successivamente, nella formula del quadrato del binomio: (a+h)2=a2+2ah+h2.

In un universo frattalico e ologrammatico, lo studio della forma assume un valore principale.

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Lo sapeva Platone, il quale volle che all’entrata dell’Accademia campeggiasse il motto: “Ἀγεωμέτρητος μηδεὶς εἰσίτω” (Ageōmètrētos mēdéis eisìtō, ossia «Non entri nessuno che non conosca la geometria») in quanto riteneva fondamentale che i suoi discepoli studiassero la geometria perché proprio la geometria doveva aprire la strada al regno delle idee, dal momento che non tratta triangoli, quadrilateri o cerchi reali, ma figure ideali, frutto del pensiero.

“La geometria – scrive in proposito John D.Barrov – non era considerata come una semplice approssimazione alla vera natura delle cose; era una parte della verità assoluta circa l’universo. Quasi fossero i frammenti di una qualche sacra scittura, i grandi teoremi di Euclide furono studiati per millenni nella loro lingua originale: erano veri, né più né meno, e consentirono agli esseri umani di dare uno sguardo alle verità assolute. Dio era molte cose, ma indubbiamente era anche geometra”. [ii]

“La geometria euclidea non era – continua Barrow – soltanto un gioco dei matematici, Né una grossolana approssimazione alle cose e neppure un capitolo di matematica pura, privo di contatto con la realtà. Era il modo in cui era fatto il mondo”. [iii]

In seguito sono state scoperte le geometrie non euclidee e la matematica ha scoperto nuovi orizzonti. “La scoperta di geometrie logicamente coerenti diverse da quella di Euclide – scrive sempre Barrow – rappresentò una pietra miliare. Mostrò che la matematica era una disciplina infinita: non c’era limite al numero dei sistemi logici che si potevano inventare”. [iv]

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Il ‘900 ci ha consegnato la fisica quantistica, una matematica che ci fa presumere l’esistenza di più dimensioni, un’idea ologrammatica e frattalica dell’universo.

Ancora una volta i miti, veri tesori di sapienza, sembrano essere svelati, nella loro portata scientifica, da nuove chiavi interpretative.

Il mito vedico ci dice che “il ciclo cosmogonico passa ritmicamente nella manifestazione e ritorna nella non manifestazione in mezzo al silenzio dell’ignoto. Gli indù rappresentano questo mistero della santa sillaba Aum. Il suono A rappresenta la coscienza sveglia, U la coscienza del sogno, M il sonno profondo. Il silenzio che circonda la sillaba è l’ignoto: è chiamato semplicemente “Il Quarto”. La sillaba in se stessa è Dio che crea, preserva, distrugge, ma il silenzio è Dio eterno, assolutamente estraneo ai passaggi del ciclo”. [v]

Nel Trimundio 33 sono gli dèi della realtà manifesta, ossia i ¾ e sono espressione dei nama-rupa (nomi-forme). Gli dèi-princìpi si trovano all’incrocio del Trimundio (Trivarga). Essi sono i “Guardiani dell’Ordine” e senza di loro tutto precipiterebbe nel caos.

Troviamo un concetto simile anche in Egitto, laddove Isha Swaller de Lubicz definisce i Neter poteri causali, cioè le cause primarie e secondarie di tutto ciò che si manifesta nell’universo: sono i principi, gli agenti e le funzioni di queste manifestazioni.

Forse, in questo ambito mitologico troviamo anche una spiegazione coerente del significato del 33° Grado del Rito Scozzese, che richiama chi lo ha conseguito al concetto di guardiano dell’ordine.

Silvano Danesi

[i] Ervin Laszlo, Jude Currivan, Cosmos, Macro Edizioni

[ii] John D. Barrow, Da zero a infinito, Mondadori

[iii] John D. Barrow, Da zero a infinito, Mondadori

[iv] John D. Barrow, Da zero a infinito, Mondadori

[v] Joseph Campbell, L’eroe dai mille volti, Guanda

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